Musica

Sanremo 2019, un amico mi spiega il problema: all’Ariston manca l’ormone. E un festival desessualizzato non tira

Sanremo è come il camposanto: prima o poi ci vanno tutti. E’ una battuta da bar (giuro che l’ho sentita), ma al Festival auguro soltanto lunga vita.

Il mio variegato parterre di condi/visione ieri sera era formato da una principessa di sangue reale, due teenager, un immigrato, un saggista, un’artista, una consigliera del board di A2A energia, un giudice e un innovatore di start up.

Noblesse obblige comincio da lei, Elena d’Assia von Hessen, tedesca, laurea in Graphic Design, ha lavorato con Alessandro Mendini. Lei è una grande fan del Festival, da sempre: “A Roma lo vedevo sempre con mio zio Enrico”. Sono con noi le nostre figlie diciottenni ma dopo la prima mezz’ora di sbadigli se ne vanno. Perché X Factor sì e Sanremo no? Fin a quando inseriranno siparietti canori con filastrocca per bambini… Ci sono due coccodrilli ed un oragotango… e ritornelli di Mary Poppins il pubblico dei ventenni e passa va altrove. Non li trattengono neanche gli acuti da tenori de Il Volo, molto amati dai giovani. I rockettari Negrita, capello shampato, smoking e boots da rider, sembrano i Pooh vecchia maniera, e finiscono in zona gialla (una sorta di limbo in attesa di promozione) secondo la giuria demoscopica.

In Germania vedono il Festival?, chiedo a princesse. “Ya. Per gli italiani immigrati è la grande festa della musica”. Già, almeno per loro.

Suona il citofono, ci raggiunge Stefan Ivanov, il mio amico bulgaro senzatetto, che come suoneria del cellulare ha scelto Io sono un italiano di Toto Cutugno. Ecco seduti sul divano la bella (principessa) e la bestia… nel senso la bestia nera di Salvini, uno dei tantissimi immigrati che il Matteo Nazionale vorrebbe fuori dalle palle e dai confini. Ma lui che si sente europeo, con documenti in regola, replica: “E’ giusto che Salvini cacci gli arabi, gli africani…”.  Ovviamente gli altri, non lui. Ed è musica per i suoi occhi che si illuminano su ogni nota. Laura Chiatti con Michele Riondino sembrano Albano e Romina Power d’antan. Soprattutto come lei agita il gonnone fiorato. Cosa non si fa per promuovere il prossimo film in uscita. Non funziona la gag fra Claudio Primo e Claudio Secondo sulla punteggiatura “sonora” a suon di pernacchie che sembra durare un’eternità. Ci salva la pubblicità.

Antonio Galdo, reduce dalla presentazione del suo saggio Prigionieri del presente, esordisce: “Adesso non mi farete mica prigioniero di Sanremo?”. Invece si entusiasma quando Fiorella Mannoia duetta con Claudio Primo (Baglioni): “Questo vuol dire Festival!”. Eppure gli ascolti sono in calo, un milione in meno rispetto all’anno scorso. Praticamente Baglioni non supera se stesso. Il picco emotivo c’è quando intona Questo piccolo grande amore, un inno agli innamorati di tutti i tempi. La platea si scalda e si sbraccia, i cellulari accesi sembrano tante lucine che bucano l’oscurità.

Riccardo Cocciante canta Margherita a braccio, senza musica e si prende una standing ovation: altro che svecchiare Sanremo, solo i big fanno audience? “Non ci vogliono cantanti nuovi, ci vogliono idee nuove altrimenti preferisco ascoltare R&B (rhythm and blues)”, ha l’aria di chi se ne intende l’artista Domiziana Giordano.

Mi telefona un amico, sembrerebbe che abbia individuato la formula magica: “Manca quella roba lì?”. Cosa?, faccio io. “Manca sex appeal. ‘Sti giovani non fanno sangue. Hanno dentature di plastica,  i “tirati” e gli “stirati” Picasso li avrebbe messi in un quadro: un occhio qua, una bocca lì… Nulla smuove l’ormone. Nessun strizzamento d’occhio. E’ come fare Titanic senza Leonardo DiCaprio e Kate Winslet. Per quell’ansia di sterilizzare il contenuto, di non fare battute fuori posto e senza eros si toglie il sale all’evento…”. Il festival desessualizzato tira poco. Quasi quasi viene da rimpiangere la farfallina inguinale di Belen.

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©AndreaRaffin / KikaPress