Dieci anni fa moriva Eluana Englaro. Il caso della ragazza che il padre ancora chiama “puledro di libertà” divise l’Italia ed è stata lunga e sfibrante la battaglia di Beppino Englaro per “liberarla”. È il 18 gennaio 1992 quando l’allora 21enne rimane coinvolta in un incidente stradale a Lecco. I medici riescono a strapparla alla morte, ma non a riportarla a una vita normale. Nel violento impatto il cervello ha subito un trauma gravissimo staccandosi in parte dalla corteccia. Inoltre per la frattura della seconda vertebra cervicale è destinata alla paralisi. Dopo 12 mesi di attesa, di visite, di pellegrinaggi da un ospedale all’altro, i medici comunicano che il cervello è andato incontro a una degenerazione definitiva. Nessuna possibilità di recupero, né di risveglio.  Nessun intelletto, nessun affetto, nessuna conoscenza.

La sua casa dal 1994 diventa una stanza nella casa di cura di Lecco Beato Luigi Talamoni, fondatore della congregazione delle Suore Misericordine di San Gerardo, lo stesso ospedale dove era venuta alla luce I medici sistemano i sondini e poi la lasciano alle cure delle suore. Eluana non era più la giovane donna delle fotografie. Per i familiari è un tormento vederla in quella condizione. Papà Beppino decide di non rassegnarsi e innesca la sua battaglia legale. Vuole ottenere l’autorizzazione, come cominciano a scrivere i giornali, a staccare la spina. Si rivolge a legali, magistrati, scrive un appello al presidente della Repubblica, che in quel periodo è Carlo Azeglio Ciampi.

Nel 1999 arriva la prima sentenza dal Tribunale di Lecco che respinge le sue richieste. Successivamente la Corte d’Appello di Milano respinge anche il ricorso di papa’ Beppino. Le sue istanze vengono respinte di nuovo nel 2003 e nel 2006. Ma il 16 ottobre del 2007 la Cassazione rinvia di nuovo la decisione alla Corte d’appello di Milano che il 9 luglio 2008 autorizza la sospensione dell’alimentazione: per i giudici lo stato vegetativo è irreversibile, gli accertamenti sulla volontà presunta di Eluana portano a concludere che lei avrebbe scelto di morire. ”Finalmente sarà libera” dichiara il padre, che non immagina quanto la strada sarà ancora lunga. Contro la sua decisione scendono in campo associazioni, comitati etici, politici. Si parla di eutanasia e di diritto alla vita, di condanna a morte e di dignità dell’esistenza. Eluana è diventata un caso. Ma gli ostacoli sono anche di natura pratica.

Non si trova infatti un ospedale dove Eluana potrà essere accompagnata verso la morte. La Regione Lombardia si rifiuta (e nei suoi confronti i legali di Englaro faranno partire diffide), altre strutture non se ne trovano. Il padre di Eluana non forza i tempi. ”Rispetterò sempre la legge”, ripete. Intanto scende in campo anche il Parlamento. Alla fine di luglio prima la Camera poi il Senato sollevano un conflitto di attribuzione contro la Corte di Cassazione, che
aveva detto sì al decreto della Corte d’appello di Milano.

La Corte Costituzionale l’8 ottobre del 2008 giudica inammissibili i ricorsi del Parlamento. Lo stesso giorno a Milano viene a definizione anche un altro aspetto della vicenda giudiziaria: la Corte di appello civile decide di non procedere sulla richiesta della Procura Generale contro l’autorizzazione allo stop all’alimentazione. Il 22 dicembre del 2008 arriva l’ultimo verdetto: la Corte europea per i diritti dell’uomo respinge, giudicandolo irricevibile, il ricorso presentato da diverse associazione contro il decreto della Corte d’appello di Milano che autorizza il distacco del sondino per l’alimentazione artificiale. Eluana può essere accompagnata a morire. È il 9 febbraio 2009 quando il suo cuore smette di battere.

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