Come dicevo nel mio post precedente, spesso mi sento chiedere “Ma a cosa serve oggi la matematica?” o “La matematica non è già stata fatta tutta?”. Evidentemente non è tanto noto che questa disciplina sia indispensabile in tutta la tecnologia (moderna e non) e che il progresso di scienza e tecnologia ne susciti uno analogo in matematica. Cerco di capire la ragione di questo malinteso; la mia risposta è che forse è dovuto al crescente distacco fra complessità tecnologica e facilità d’uso, a una sorta di pudore degli ingranaggi: e la matematica è il più nascosto degli ingranaggi, come provo a illustrare.
Anche i miei studenti a Ingegneria, che dovrebbero essere ben disposti a riconoscere e apprezzare i meccanismi, sono stupiti quando mostro l’uso della teoria dei gruppi nei codici a barre, della geometria proiettiva nei veicoli autonomi, degli autovettori nel riconoscimento facciale o della topologia nei reattori a fusione. Forse dovremmo esporli più spesso a questi piccoli miracoli. Ma perché la matematica si nasconde così bene nella tecnologia? Tento qualche risposta.
Astrazione – Che la matematica sia astratta non è una novità, però da David Hilbert in poi questa tendenza è cresciuta, con grandi risultati ma con notevole disorientamento di chi incontra per la prima volta la matematica “moderna”. In realtà questo processo di distacco ha almeno quattro secoli: al filosofo naturale del Rinascimento le astrazioni di Galileo dovevano apparire come una violenza alla natura, i suoi esperimenti in laboratorio una forzatura rispetto all’osservazione diretta, una legge come quella d’inerzia una fantasia assurda. Resta il fatto che l’astrazione di Galileo rendeva le previsioni del fisico più attendibili, l’intervento dell’ingegnere più efficace.
Generalità – La grande generalità rende la matematica potentissima: un’idea nata (magari da un fisico o da un ingegnere) in un certo ambito, grazie alla generalizzazione prodotta dal matematico, può avere ricadute in ambiti lontanissimi. Penso per esempio alle funzioni seno e coseno: nate per studi astronomici, J.B. Fourier le usa – per le loro particolarità analitiche – nello studio della propagazione del calore, e i suoi teoremi finiscono per essere essenziali nella telefonia e nella compressione di immagini. Tuttavia ciò pone un dilemma all’insegnante: se aggancia la teoria a un’applicazione pratica (per esempio i gruppi ai codici a barre), ne restringe l’orizzonte; d’altra parte, se si attiene alla massima generalità, fornisce agli studenti uno strumento che forse non sapranno come utilizzare.
Difficoltà – C’è poco da fare: la matematica è difficile e la difficoltà respinge. Basta vedere l’espressione di chi mi chiede cosa faccio nella vita, quando rispondo! Anche qui si pone una necessità di equilibrio: rendere troppo facile il percorso nell’insegnamento, nascondere le difficoltà nella divulgazione, può scadere nella mistificazione. Da una parte illudersi di aver capito è la peggiore situazione, perché non permette progresso; dall’altra, l’eccessivo perfezionismo del docente può ostacolare la comprensione.
Noia – Accidenti, come invidio i nostri cugini fisici! Loro sanno introdurre gli argomenti più tosti con immagini accattivanti, con filmati da fantascienza. Noi cominciamo “Sia X uno spazio topologico…” e la gente si addormenta. Eppure io trovo la mia disciplina eccitante e addirittura sensuale. Com’è possibile un tale iato? Penso che sia un problema di linguaggio, che solo pochi colleghi, bravi divulgatori, sanno superare.
Linguaggio – Ho avuto la fortuna di avere un padre che ascoltava musica classica (ma anche jazz). Fin da piccolo ho amato Beethoven, Chopin, Borodin (e Bix Beiderbecke). Ma quando capitava la musica barocca, a me pareva solo un “tiritiritiri” noioso e privo di senso. Mi fermavo davanti alla barriera di un linguaggio alieno. Secondo me è lo stesso con la matematica: finché non superi la barriera del linguaggio non puoi ammirare l’incanto di certi teoremi (per la cronaca, mio padre trovò presto la chiave per schiudermi i tesori del Sei-Settecento: il Concerto Brandeburghese n.2).
Insomma, ci sono diversi motivi per cui la matematica – ingranaggio onnipresente in fisica, in economia, in robotica, negli algoritmi implementati dall’informatica – si nasconde così bene da sembrare inutile e immobile. Però, se noi matematici non ci diamo una mossa, finisce che il cittadino non capisce la ragione della nostra esistenza e il politico ci toglie anche i pochi finanziamenti a cui siamo ridotti.