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Il migliore e il peggior momento musicale della quarta serata di Sanremo 2019. Ecco, però, visto che mi avete perdonato già una volta, io proporrei anche qui due momenti positivi, non uno solo. Stavolta, peraltro, i due momenti migliori sono legati dal fatto di trovarsi in due situazioni diametralmente opposte, quindi diventano in qualche modo complementari.
I momenti migliori: Loredana Bertè e Mahmood
È vero, avere tanta esperienza alle spalle aiuta a far rendere al massimo un brano rock abbastanza usuale e dalle rime imbarazzanti, perciò mai come in questo Festival si capisce la differenza tra una che di cognome fa Bertè e almeno un terzo degli altri concorrenti. Però questa quasi 70enne quando canta tiene l’Ariston in pugno come pochi e la voce è sempre quella: sempre graffiante, disperatissima e ribelle. Due meritatissime standing ovation in due serate.
L’alter ego della Bertè è, appunto, Mahmood. In genere, com’è ovvio che sia, il rinnovamento arriva dalle retrovie, ovvero da un elemento magari arrivato a giocarsi le sue possibilità “per caso” è che invece spariglia le carte, perché ineducato a giocare il gioco giocato su quel tavolo. Alla vigilia, di questi “elementi” dovevano essercene tanti: dall’indie alla trap, Motta, Ex-Otago, Achille Lauro, Zen Circus, per esempio. E invece, probabilmente la vera novità è rappresentata da Mahmood, forse perché unico artista a non portarsi dietro aspettative di stile, una prevedibilità musicale da proporre o tradire. E così, la sua Soldi racchiude le caratteristiche determinanti di un brano di Sanremo, senza voler scimmiottare stilemi di moda o forzatura derivanti dalla propria riconoscibilità, e nemmeno quel palco: tema impegnato e sfrontato, sonorità moderne e rappresentanti il proprio vissuto personale, le proprie culture di riferimento, ritornello che diventa sempre più familiare ascolto dopo ascolto. È lui la vera sorpresa del Festival, al di là di come andrà a finire.
Il momento peggiore: il Volo
Si sarebbero potuti tranquillamente trovare il momento migliore il e peggiore della serata esclusivamente nella loro esibizione. Perché Alessandro Quarta – il violinista che li ha accompagnati – è una meraviglia e lo ha dimostrato: moderno e tradizionale a un tempo, virtuoso, competente e mai retorico, al punto da evidenziare l’incolmabile distacco tra quello che fa lui e l’impostazione inautentica dei tre tenorini, che sono l’esatto contrario. Il fatto è che Il Volo, lo sappiamo, è artificiale per precisa scelta di campo: danno alla gente ciò che la gente vuole, e ciò che la gente pensa sia il “bel canto”. Così l’enorme distanza, tra loro e l’approccio diretto e appassionato del violino di Quarta, rende scollate le due parti, non necessarie l’un l’altra. Versione brutta di una canzone già largamente discutibile, e la standing ovation dell’Ariston non fa che rendere il tutto persino inquietante.