L’esperienza cilena della transizione dopo la fine della dittatura di Pinochet come possibile modello per il Venezuela: è questo il tema dell’incontro che vuole organizzare il ministro degli Esteri cileno, Roberto Ampuero, con membri dell’opposizione del paese che dal 23 gennaio scorso ha due presidenti. Durante le attività del Gruppo di Lima (che riunisce 14 paesi per trovare una soluzione pacifica alla crisi venezuelana) ad Ottawa, Ampuero ha proposto al rappresentante di Juan Guaidò in Cile di riunire a Santiago membri dell’opposizione dei due paesi, oltre a quelli del governo cileno.
L’idea è di far incontrare il prima possibile i “democratici” cileni e venezuelani per parlare del ritorno alla democrazia dopo la fine del regime militare cileno, e di come questa esperienza possa essere d’esempio per la repubblica bolivariana. Un’offerta ben accolta dalla controparte venezuelana, che si è detta disponibile a partecipare, sotto il coordinamento diretto di Guaidò, anche se potrebbero esserci alcuni ostacoli pratici alla realizzazione dell’incontro, visto che per gli oppositori venezuelani potrebbe essere complicato uscire dal proprio paese senza problemi.
In Cile il passaggio dalla dittatura alla democrazia fu assolutamente pacifico e avvenne tramite un referendum, in cui si chiedeva ai cittadini se intendessero dare al generale Pinochet un ulteriore mandato di 8 anni come presidente della Repubblica, così come previsto dalla Costituzione del 1980. Nacque così la Concertación de Partidos por la Democracia, meglio nota come Concertación, una coalizione di partiti di centro e di sinistra, che si batté per la campagna a favore del No nel Plebiscito nazionale del 1988, che vinse con il 55,99 per cento dei voti.
L’anno successivo ci furono le elezioni presidenziali e politiche, vinte sempre dalla Concertaciòn, che ha governato il Cile dall’11 marzo 1990 fino all’11 marzo 2010. Nel caso del Venezuela, per Ampuero è importante iniziare a preparare già un piano di transizione parallelo alle misure che si stanno adottando per arrivare ad elezioni libere, per avviare una “ricostruzione istituzionale”. Tuttavia, tutte le figure interpellate legate alla Concertaciòn cilena, pur essendo disposte a prendere parte all’incontro, hanno rimarcato quanto siano pochi gli elementi in comune tra i processi dei due paesi, così come sono pochi i punti che si potrebbero replicare in Venezuela.
Al di là dei problemi istituzionali, economici e sociali che vive il paese caraibico, per tutti il principale ostacolo ad una transizione ‘alla cilena’ è proprio il presidente Nicolas Maduro. Secondo Sergio Bitar, uno dei principali leader del Partito per la democrazia alla fine degli anni ’80, nonché ministro dei governi della Concertazione, “la situazione vissuta in Cile è parzialmente utile al Venezuela. Non esiste, conoscendo la realtà di quel paese e di altri, alcuna soluzione con Maduro – ha detto in un’intervista al quotidiano cileno La Tercera –. Deve esserci una concentrazione di forze che lo faccia andare via, e al tempo stesso trovare un’intesa che permetta di sostenere il governo che lo sostituirà”. Sconsiglia inoltre di fare paragoni semplicistici, perché “anche se Maduro vuole farsi passare per Allende, lui non è Allende, e neppure Pinochet. Come cileni dobbiamo stare attenti, raccontare ciò che abbiamo fatto, ma riconoscendo la lotta che sta portando avanti oggi il popolo venezuelano”.
Dello stesso avviso anche il presidente dell’Organizzazione democratica cristiana d’America, Juan Carlos Latorre, secondo cui c’è una differenza profonda tra le vicende dei due paesi, e cioè “la volontà del governo militare cileno di permettere una transizione pacifica”. Ma per Ampuero “si tratta proprio di condividere con i democratici venezuelani non un modello infallibile, ma un’esperienza preziosa, che può avere luci e ombre”.