Reddito di cittadinanza troppo alto o piuttosto stipendi troppo bassi? La frenata del pil italiano è legata a doppio filo a una domanda interna stagnante anche per colpa dei bassi salari. Ma per riportare alla ribalta il tema ci è voluto il dibattito scatenato dalle osservazioni di Confindustria e in seconda battuta Fondo monetario internazionale e Inps sulla misura simbolo del Movimento 5 Stelle. “I 780 euro mensili che percepirebbe un single potrebbero scoraggiarlo dal cercare un impiego, considerando che in Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30, al primo impiego, si attesta sugli 830 euro netti al mese“, ha osservato il direttore dell’area Lavoro di viale dell’Astronomia. Il nodo in effetti è proprio quello: buste paga che oscillano intorno alla soglia della povertà assoluta non possono che riflettersi in consumi ridotti al lumicino (non sono mai tornati ai livelli pre crisi), in un circolo vizioso che contribuisce ai bassi livelli di crescita dell’economia italiana rispetto ai partner europei. Colpa del cuneo fiscale? Se è vero che quasi il 50% dello stipendio lordo finisce in tasse e contributi, in Francia il cuneo è molto simile e in Germania superiore, ma i redditi netti sono più alti.
Lavoro stagionale, part time e somministrazione affossano i redditi – Per capire le dimensioni del problema aiutano le statistiche sulle retribuzioni raccolte dall’Inps. Stando all’ultimo osservatorio dell’istituto previdenziale, se nel 2017 il lavoratore dipendente medio ha guadagnato 21.535 euro, lo stipendio dei giovani tra i 20 e i 24 anni (una platea di oltre 1,1 milioni di persone) si è invece fermato in media a 9.439 euro annui: 786 euro al mese. Un livello inferiore alla soglia di povertà assoluta calcolata dall’Istat per le aree metropolitane del Nord e del Centro Italia. La cifra sale a 14.378 euro annui (1.198 al mese) per i giovani tra i 25 e i 29 anni, 1,6 milioni secondo la banca dati Inps. Nel complesso i dipendenti under 29 non arrivano a portare a casa 1000 euro al mese. A far calare i valori medi è in particolare la forte incidenza del lavoro stagionale, part time e a termine: gli under 24 lavorano in media solo 169 giorni l’anno e la fascia di età successiva non arriva a 220 giorni, contro una media generale di 243 giorni.
Ancora più leggere le buste paga dei somministrati, cioè gli ex lavoratori interinali, assunti da un’agenzia per il lavoro che poi li “affitta” alle imprese per periodi più o meno lunghi. Quelli sotto i 29 anni, mostrano i dati Inps, nel 2017 sono stati più di 300mila. I 20-24enni con questo tipo di contratto (oltre 150mila) hanno guadagnato una media di poco più di 7mila euro: 585 al mese, anche se i giorni lavorati sono stati mediamente solo 99. Per i fratelli maggiori under 29 (più di 148mila) la retribuzione media annua è stata di 8.695 euro, con 118 giornate lavorate. In media, i somministrati tra i 20 e i 30 hanno guadagnato in media 7.895 euro l’anno vale a dire 654 euro netti al mese.
Avere una laurea aiuta nel lungo termine, ma le retribuzioni di ingresso restano molto basse: a un anno dalla fine dell’università, stando all’ultima indagine Almalaurea, lo stipendio netto è poco sopra i 1.100 euro, lontano dal livello raggiunto prima della crisi (nel 2007 la busta paga dei giovani laureati era mediamente di 1.300 euro).
Consumi sotto l’80% di quelli degli over 35 – Livelli di reddito così bassi si traducono in consumi ridotti all’osso, come confermano i dati Istat sulla spesa delle famiglie nel 2017. I single under 34 hanno speso in media 1.601 euro al mese, il 78% degli oltre 2mila destinati ai consumi dalle persone sole di età compresa tra i 35 e i 64 anni e i 1.663 degli over 65. E anche le coppie senza figli in quella fascia di età hanno avuto in media uscite poco superiori ai 2.600 euro contro gli oltre 2.900 delle coppie più adulte.
Cinquemila euro in meno rispetto a coetanei francesi e tedeschi – Le statistiche europee su reddito e condizioni di vita danno la misura del divario rispetto agli altri grandi Stati Ue. Stando alla banca dati di Eurostat il reddito netto medio degli under 24 italiani da qualsiasi fonte (lavoro dipendente e autonomo più eventuali altri introiti) è stato nel 2017 inferiore ai 17mila euro contro i 21.718 dei coetanei francesi, i 22.125 dei giovani tedeschi e una media a livello Eurozona di 19mila euro.
Il 12,4% degli under 29 che lavorano è a rischio povertà – Il costo della vita ovviamente varia da Paese a Paese, per cui aiuta guardare anche la quota di giovani a rischio povertà nonostante lavorino: tra gli under 24 è del 12,3%, contro il 10,6% della Francia. Per i giovani tedeschi il rischio povertà è più alto, al 12,6%, ma la particolarità italiana è che il rischio povertà non diminuisce se si prende in considerazione la platea più ampia degli under 29: il 12,4% di quelli che lavorano è sull’orlo dell’indigenza, contro il 7,8% in Francia, l’11,3% in Germania e il 10,6% medio dell’Eurozona. Nell’area euro valori più alti si registrano solo in Grecia e Spagna.
Il cuneo? Più in Germania – Alla radice del problema, secondo la maggior parte degli analisti, c’è la produttività stagnante: a partire dal 1995 il valore aggiunto per ora lavorata è cresciuto in media solo dello 0,4% l’anno (nel 2016 è addirittura calato) contro il +1,5% annuo della Germania e il +1,4% della Francia. Risultato, a sua volta, della somma di tanti fattori: inefficienze del sistema economico nel suo complesso, insufficienti investimenti in ricerca e tecnologia (anche perché le imprese mediamente sono troppo piccole per farsene carico) e scarso peso della contrattazione aziendale rispetto a quella accentrata. Il famigerato cuneo fiscale, per quanto pesantissimo, non è invece sufficiente per spiegare il differenziale tra i redditi netti italiani e quelli degli altri Paesi Ue. Secondo l’Ocse infatti tasse e contributi previdenziali “mangiano” ben il 47,7% della busta paga lorda di un lavoratore senza carichi famigliari e il 24,2% è a carico del datore di lavoro, ma in Francia il cuneo è praticamente identico (47,6%) e in Germania arriva addirittura al 49,7 per cento.