Cronaca

Reggio Emilia, auto incendiate e spari contro le pizzerie: escalation di violenza nella città del processo alla ‘ndrangheta

In due settimane due sparatorie e quattro veicoli a fuoco nel capoluogo emiliano: tutti in zone riconducibili ad alcuni dei principali imputati del procedimento contro i clan al nord. E alla vigilia dell'inizio di un nuovo procedimento, per due omicidi commessi nel 1992. Indagano gli investigatori. Alla fine del processo Aemilia, il pentito Valerio aveva detto: “Non illudiamoci che la cosca verrà eliminata con le condanne, perché altri ‘ndranghetisti fuori si stanno riorganizzando con mezzi e metodi diversi. Dovranno sparare se vogliono il comando, come abbiamo fatto noi cutresi nel Novanta”

Due pizzerie colpite nella notte con proiettili sparati contro ingressi e vetrate. Bigliettini con minacce ai gestori ritrovati dalle forze di polizia, un altro locale dove i Vigili del Fuoco sventano un incendio dalle cause oscure. E poi tre auto e un furgone bruciati con la benzina versata sui seggiolini dai finestrini spaccati nel parcheggio di un quartiere. Il tutto nell’arco di due settimane. Reggio Emilia è preoccupata di questa nuova escalation di violenza. Venerdì il prefetto Maria Grazia Forte ha riunito il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico. Seduti attorno a un tavolo, il questore Antonio Sbordone, i comandanti di Carabinieri e Guardia di Finanza, Cristiano Desideri e Roberto Piccinini, il procuratore capo di Reggio Emilia Marco Mescolini. Hanno fatto il punto sulle indagini e ragionato su come tutelare l’incolumità dei gestori dei locali minacciati. Fino ad oggi sono quattro: in media fa un’intimidazione ogni tre giorni.

La “profezia” del pentito – Cosa sta succedendo nel capoluogo reggiano? Chi e perché ha deciso di uscire allo scoperto  a colpi di minacce, incendi e sparatorie? È solo una guerra tra bande o c’è qualcosa di più serio? Reggio è pur sempre la città del processo Aemilia, il primo maxi procedimento alla ‘ndrangheta del Nord Italia. Proprio alla fine del processo, il collaboratore di giustizia Antonio Valerio si era rivolto alla corte con una dichiarazione che aveva fatto scalpore: “A Reggio Emilia siete tutti sotto scacco. Non illudiamoci che la cosca verrà eliminata con le condanne, perché altri ‘ndranghetisti fuori si stanno riorganizzando con mezzi e metodi diversi. Dovranno sparare se vogliono il comando, come abbiamo fatto noi cutresi nel Novanta”. Era l’ottobre scorso: tre mesi dopo quelle parole sembrano quasi profetiche. Non è detto che siano azioni di ‘ndrangheta ma è naturale che sia quella una delle direzioni verso cui guardano le indagini. “Siamo nel 2019 e non nel 2010”, dice uno degli investigatori più esperti, sottolineando che la conoscenza del crimine organizzato oggi in provincia consente di avviare indagini mirate.

La sparatoria a Cadelbosco Sopra – Sei colpi di pistola sono stati sparati nella notte tra il 31 gennaio e l’1 febbraio contro la vetrata della pizzeria La Perla nel centro di Cadelbosco Sopra, comune alle porte di Reggio Emilia e residenza di nomi importanti del processo, segnati da pesanti condanne: Antonio Crivaro (ha preso 19 anni in primo grado), Luigi Brugnano (10 anni e 6 mesi), Floro Vito Gianni (20 anni e 11 mesi), Eugenio Sergio (23 anni), Luigi Silipo (21 anni e 8 mesi) e il fratello Antonio (14 anni definitivi nel rito abbreviato). Tenevano i conti dei loro affari alla filiale del Monte Paschi di Siena e incontravano vittime e amici attorno alla chiesa della Beata Vergine Addolorata, entrambe a due passi dalla pizzeria, il cui titolare è da sempre Pasquale Calabrese, originario del salernitano.

Gli incendi a Cadè – Protagonisti di Aemilia si incontrano anche vicino a un’altra scena del delitto, via Vanvitelli nella frazione di Cadè in direzione Parma, dove 48 ore dopo gli spari a Cadelbosco sono stati bruciati tre auto e un furgone, nel parcheggio sul quale si affaccia anche l’abitazione di Davide Arabia, crotonese accusato di usura dai sostituti procuratori di Aemilia ma non rinviato a giudizio per la caduta dell’aggravante mafiosa. Eppure fino ai primi anni Duemila il clan dei Dragone, ancora vincenti in provincia, imponeva ai costruttori cutresi a Reggio Emilia, con la sola forza del proprio nome, l’affidamento di lavori all’impresa Artedile srl dei fratelli Giuseppe e Pasqualino Arabia, che erano loro alleati. A meno di 300 metri di distanza dal parcheggio delle auto bruciate, dicono i verbali di Aemilia, Romolo Villirillo, condannato in via definitiva (12 anni e 2 mesi) come uno dei capi della cosca reggiana, aveva la disponibilità di un appartamento intestato al proprio nipote nel quale si tenevano riunioni importanti della consorteria reggiana.

Gli altri attentati – I cinque spari nella notte del 7 febbraio alla Pizzeria Piedigrotta 3, sulla via Emilia ad est di Reggio, colpiscono invece un locale tra i più noti e frequentati della città, i cui titolari sono di origini siciliane. Era stato Calogero Lorenzo Fragale, arrivato da Messina nel 1975, a mettere in piedi con quel marchio napoletano una catena di locali di successo. Alla sua morte, avvenuta nel 2016 dopo una lunga malattia, la pizzeria è rimasto nelle mani del socio Luigi Celio di origini campane. Elementi poco chiari anche nel principio d’incendio che ha colpito una terza pizzeria, La Pignatta 2, nella zona industriale Mancasale. É stato un passante ad accorgersi del fumo nero che usciva dal locale nel pomeriggio del 16 gennaio e ad avvisare i vigili del fuoco intervenuti in tempo evitare la diffusione delle fiamme. Si è ipotizzato un cortocircuito della friggitrice o del frigorifero, ma la pizzeria era chiusa e sull’ingresso posteriore del locale sono stati notati segni di scasso.

Violenza alla vigilia del processo – Le indagini dovranno dire se esistono eventuali collegamenti tra le quattro vicende: i bigliettini con minacce trovati dalla polizia, la natura dolosa degli incendi e l’uso delle armi sono elementi che potrebbero avvalorare la pista della criminalità organizzata. L’escalation avviene alla vigilia del nuovo processo che lunedì 11 febbraio inizierà davanti alla corte d’Assise di Reggio Emilia per gli omicidi di Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero: era il 1992 e da quel momento cominciò l’inarrestabile ascesa di Nicolino Grande Aracri al vertice della ‘ndrangheta in Emilia.  Oggi la cosca autonoma che ha preso il comando della provincia è con le spalle al muro, segnata dalle condanne del 2018. Non è forse un caso che intimidazioni e attentati siano arrivati proprio alla vigilia di questo nuovo processo. Il territorio è appetibile, la domanda di soluzioni illecite ancora forte, gli interessi economici in gioco enormi. Il bastone del potere, invece, è sempre meno saldamente in mano ai vecchi clan. È in questa vuoto che a Reggio Emilia sono tornate a parlare le armi.