Per una volta il festival di Sanremo è più avanti dell’Italia. Per una volta è Sanremo che aiuta l’Italia a capirsi, conoscersi, cambiare. Ieri le chiamavamo canzonette per classificare un genere e anche uno stile di vita lontani dalla realtà, dai problemi che essa ci pone. Sanremo negli anni scorsi era divenuta una parentesi dal sapore indistinto, un allegro ma scemo karaoke dell’Italia più pop.

Il merito di Claudio Baglioni, tra gli altri, è di aver svolto con impegno e cura il compito opposto: far vedere il nuovo, mostrare – attraverso una canzone – come l’Italia cambia. E la vittoria di Mahmood contiene questa bella novità, perché allinea un ragazzo nato e cresciuto a Milano, quindi come lui con orgoglio ha specificato, “italiano al cento per cento”, ma anche un figlio di migrante, come il cognome dimostra, venuto dall’Egitto a cercar fortuna, all’altra decina di volti nuovi che hanno portato nelle case ritmi nuovi, tonalità, modi di pensare e di suonare.

Sanremo fa conoscere l’Italia a sé stessa, la fa scoprire più ricca e complessa, più viva e più aperta al mondo proprio nel tempo in cui la paura le consiglia di rinserrarsi in casa nella speranza che il sovranismo, parente dell’isolazionismo, la renda magari più egoista, anche più cattiva, ma più ricca e sicura. Sanremo mostra l’abbaglio e non perché ha vinto il ragazzo dal cognome egiziano ma perché su quel palco, mai come ora, sono sfilate generazioni nuove che per mestiere condividono, contaminano, hanno bisogno di aprire porte e finestre e respirare il mondo intero.

Chi doveva mai dirci che la direzione artistica di Claudio Baglioni, il cantante dell’amore, del sentimento anche mieloso, dovesse darci questa lezione di innovazione competitiva, di illustrare il nuovo che già c’è e che forse non conosciamo bene. Sanremo aiuta l’Italia a cambiare. Questa è una buona notizia.

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