Lo scontro sul bilancio, con l'addio di Pinuccia Montanari alla poltrona dell'Ambiente, rallenta ancora una volta i piani della amministrazione per l'incremento della raccolta differenziata e il riuso dei materiali. Nel frattempo vanno a scadenza le linee di credito ottenute dal presidente Bagnacani e ancora manca una alternativa per il conferimento dopo il rogo del tmb Salario
Piano assunzionale bloccato, stabilità economica incerta e un documento sul futuro strategico dell’azienda ancora chiuso nei cassetti. La crisi dei rifiuti a Roma viaggia di pari passo con le dichiarazioni della sindaca Virginia Raggi che si dice “stufa”, “dalla parte dei cittadini” e pretende “pulizia per le strade”. Ma la guerra politica in Campidoglio, deflagrata con la bocciatura del bilancio di Ama Spa e con le dimissioni dell’assessora Pinuccia Montanari sta divenendo col passare dei mesi un ostacolo insormontabile a qualsiasi tipo di soluzione. La municipalizzata che si occupa di raccogliere e smaltire l’immondizia nella Capitale “rischia il default”, secondo l’assessora dimissionaria, a causa di un contenzioso da appena 18 milioni di euro. Pochissimo, tenuto conto che parliamo di una società che fattura 1 miliardo l’anno (e ne ha altrettanti di debito). In queste ore, in Campidoglio l’ex docente in filosofia amica di Beppe Grillo da alcuni viene dipinta come baluardo di una politica “irrealistica” fatta di pannolini riciclati, fabbriche di materiali e impianti di compostaggio, e per questo punita con l’imminente benservito. Tutti valori che facevano parte del programma con cui Raggi si è presentata alle elezioni comunali nel 2016 e di cui tanti in maggioranza si sentono ancora portatori. Una politica che non ha mostrato ancora il suo valore nella Capitale perché fin inattuata, anche a causa dello stallo in cui da 11 mesi i battibecchi contabili hanno bloccato la società Ama.
LA DIFFERENZIATA SENZA PERSONALE – Al momento Ama dichiara di avere 7.810 dipendenti, dei quali 6,728 sono inquadrati come operai. Le indagini sui cosiddetti “lavoratori furbetti” riguardano poche unità di persone – una decina in tutto – ma è evidente che l’atteso aumento della raccolta differenziata di 20 punti in 5 anni non è possibile senza nuovi ingressi. Ma con i bilanci di due esercizi (2017 e 2018) al palo, secondo l’azienda sbloccare i piani di assunzione diventa impossibile. Gli accordi varati a luglio 2018 stabilivano l’ingresso di almeno 450 persone in tre anni, di cui 300 avrebbero già preso servizio se le cose fossero andate normalmente. Proporzione ribadita anche nelle linee guida approvate lo scorso mese. In Campidoglio sono convinti che le assunzioni si possano fare lo stesso e per questo il 20 novembre 2018 è stata approvata una delibera di Giunta ad hoc, ma il presidente di Ama, lo “sfiduciato” Lorenzo Bagnacani, non è di questo avviso. E i sindacati sono di nuovo sul piede di guerra. A pagare cara questa situazione sono, appunto, i dati sulla raccolta differenziata, cresciuta di un solo punto (44-45%) nel 2018. Ben lontano dal 55% previsto per il 2020.
GLI IMPIANTI SULLA CARTA – La differenziata sarebbe, ovviamente, solo l’inizio. Perché per chiudere il ciclo dei “materiali post-consumo”, come ammesso più volte dalla stessa sindaca, servono gli impianti dedicati. “Né discariche né inceneritori”, ha ribadito Raggi in Assemblea Capitolina il 15 gennaio scorso. Sì alle fabbriche di materiali che dovrebbero prendere il posto dei vecchi tmb, agli impianti di compostaggio nelle aree agricole e al famoso vetrificatore Sofinter per chiudere il ciclo al posto dell’inceneritore. Ce ne sono 13 nelle 500 pagine di piano industriale redatto da Ama. Per costruire tutti questi impianti servono investimenti da decine di milioni di euro, conferenze dei servizi e iter autorizzativi. “Un percorso da qui al 2023 che forse sarebbe già partito se il bilancio di Ama fosse stato approvato in tempo utile”, sostiene Natale di Cola della Fp Cgil. Senza, come ribadito dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, in occasione della presentazione delle linee guida del piano regionale rifiuti, l’alternativa resta una discarica di servizio.
INCERTEZZA SUGLI APPALTI – C’è poi il rapporto con le banche e con i fornitori che ha risvolti pratici non indifferenti. Le linee di credito strappate a fatica da Bagnacani scadono il 28 febbraio. Con il bilancio bloccato, secondo quanto ribadito da Ama in una fitta corrispondenza con il Campidoglio iniziata nell’ottobre scorso, sarà “impossibile utilizzare finanza per il pagamento dei fornitori essenziali e strategici (carburanti, raccolta, trattamento e trasporto dei rifiuti)”. Sul piatto degli investimenti, fra le altre cose, i 68 milioni di euro da spendere nell’acquisto di 752 nuovi mezzi in 15 mesi. Fondamentali, se si tiene conto che dei 2.500 veicoli a disposizione di Ama ad oggi funziona regolarmente circa il 55%. Poi c’è il grande enigma della trasferenza. Con il tmb Salario andato in fiamme, la città di Roma è costretta a inviare in giro per l’Italia tonnellate di rifiuti indifferenziati. L’incertezza nei conti già alcuni mesi fa ha messo in apprensione Hera, uno dei principali fornitori di Ama. Tutto ciò considerando che le maxi-gare per lo smaltimento dei rifiuti sono già andate due volte deserte, e che oggi alcuni operatori privati costano ad Ama anche 200euro a tonnellata.
FRA CONCORDATO E ACEA – L’extrema ratio di cui si parla tanto in città è quella di un possibile concordato preventivo per Ama. Ipotesi smentita venerdì sera da Gianni Lemmetti, dopo che per due volte l’aveva esclusa la stessa sindaca Raggi. “Nessun allarmismo su Ama”, ha detto l’assessore al Bilancio, che durante la sua vita politica ha, fin qui con successo, già accompagnato due società – l’Aamps di Livorno e l’Atac di Roma – tra le braccia del Tribunale fallimentare. È convinto del contrario Stefano Fassina, deputato e consigliere di Sinistra per Roma, secondo il quale “se da marzo dello scorso anno a oggi non si sblocca il bilancio Ama, è perché si vuole portarla alla cessione degli asset migliori e a maggior valore aggiunto a Acea, quindi in larga misura ai privati”. Il riferimento di Fassina è a un vecchio piano – per un periodo vagliato anche dall’ex sindaco Ignazio Marino – che vedeva una progressiva fusione fra Ama e Acea, con la prima che si occuperebbe solo della raccolta e la seconda – quotata in borsa e partecipata al 49% da privati, fra cui il Gruppo Caltagirone – che provvederebbe all’impiantistica.