di Giulio Scarantino
Caro ministro Bussetti, sono un ex studente del Sud e anche figlio di un’insegnante della Sicilia. Nella mia vita sono stato fortunato, non mi è mancato mai nulla e ho potuto frequentare la scuola con serenità. Addirittura ho potuto frequentare la scuola dell’infanzia, la scuola primaria, secondaria e per finire il terzo ciclo di studio. Per gli anni di obbligo scolastico non ho mai dovuto viaggiare per raggiungere il luogo d’istruzione: insomma ho sempre potuto pranzare in casa con tutta la mia famiglia. Ero in un liceo rispettabile e con buoni insegnanti, non posso lamentarmi di nulla, tutt’al più potrei dire che avendo mia madre nella stessa scuola non potevo mai marinare. Per questo sono una schiappa a biliardo, mentre i miei ex compagni tutti bravissimi. Avrei voluto “impegnarmi” di meno, peccato.
Ebbene, sarà forse per questo motivo che le sue parole (che poi ha detto essere state fraintese) non suscitano nei miei confronti rabbia, piuttosto tenerezza. Al contrario, credo che il sentimento sia diverso per tutte quelle persone meno fortunate di me. Provo a immaginarlo. Basti pensare alle famiglie che quotidianamente fanno incredibili sacrifici per il proprio figlio con disabilità motorie, elargendo denaro di tasca propria affinché siano uguali agli altri studenti. Per loro troppo spesso la nostra terra non ha mai soldi abbastanza. Oppure, ancora, penso agli insegnanti che giornalmente vivono con un minuscolo tarlo che pian piano polverizza il fervore della professione: l’incertezza di non avere abbastanza ore di lezione l’anno successivo. Di conseguenza, dover cambiare scuola, lasciare famiglia o città; oppure al peggio perdere lavoro.
E poi, diciamo la verità: a volte al Sud è più difficile insegnare o frequentare una scuola. Ad esempio, mi ricordo studenti costretti a viaggiare quotidianamente su strade dissestate in vetusti autobus dall’odore di urina. Anche questo però non è nulla in confronto all’impegno profuso da famiglie (e viceversa) che lottano per convincere i propri figli nel continuare con lo studio, nonostante la fame, la strada e la mafia siano calamite di distrazione e perdizione.
Così come agli insegnanti che quotidianamente combattono in quei territori dove la professione significa non soltanto educatore. Ove il professore assurge a figura di genitore, custode di anime e destini. È proprio lì che, per ogni banco vuoto in più, il professore sente di aver perso una parte di se stesso.
Ciò che sembra però più assurdo è dover scrivere tutto questo adesso, per far quasi il gioco sporco della gara a chi sta peggio. A ben vedere, quelli appena scritti sono esempi di sacrifici sparsi a macchia d’olio in tutto il Paese, solo amplificati nella nostra terra martoriata. In realtà è soltanto la naturale conseguenza di politiche scellerate sull’istruzione, sempre posta in secondo piano rispetto a temi che producono consenso. Indi, caro Ministro, forse una soluzione per ridurre il gap tra Nord e Sud ci sarebbe: impegnatevi di più voi. Ad esempio, iniziando a non dire fesserie.
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