Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà ha pubblicato un rapporto sulle sezioni carcerarie che ospitano detenuti in regime di 41bis, il regime speciale introdotto nell’ordinamento penitenziario all’indomani delle stragi di mafia del 1992 con lo scopo di impedire i rapporti tra esponenti della criminalità organizzata e associazioni esterne. Il Garante ha visitato tutte le sezioni di 41bis in Italia e ha pubblicato il proprio parere.
Su una pagina Facebook chiamata “Polizia Penitenziaria Società Giustizia e Sicurezza” ha ricevuto commenti di una violenza inaudita, che vanno da offese volgari tipo “ma chi cazzo si crede di essere questo camoscio” (il camoscio, nel più brutto gergo penitenziario, è il detenuto) o “ma va affanculo delinquente legalizzato”, a frasi in odor di minaccia quali “spero che ti ammazzano un figlio” o “ma perché non ti fai ammazzare coglione”.
Il Garante delle persone private della libertà è una figura istituzionale voluta dalle Nazioni Unite. Il suo compito non è quello di entrare nelle decisioni dei singoli Stati in merito alla detenzione, bensì quello di valutare se le condizioni di privazione della libertà rispondano alle regole che lo Stato stesso si è dato o cui ha aderito in Convenzioni internazionali. Nel caso dell’Italia e del 41bis, la Corte Costituzionale ha più volte spiegato come tale articolo andasse applicato.
Scrive il Garante nel suo rapporto: “Il Garante nazionale ha esaminato la situazione di applicazione del regime ex articolo 41bis o.p. alla luce del perimetro che la Corte ha delineato (…). Pertanto il rapporto qui presentato non entra nella questione in sé di tale previsione normativa, ma si focalizza sulla valutazione di come la sua applicazione rispetti i parametri di legittimità indicati dalla Corte Costituzionale e altresì di come la sua reiterazione, spesso per un numero cospicuo di anni, a carico della singola persona, possa esporsi al rischio di incidere sull’inderogabile principio di tutela dei diritti umani di ogni persona, indipendentemente dal suo status di libertà o detenzione, nonché dei diritti fondamentali che, pur nei limiti oggettivi posti dalla situazione privativa della libertà e in regime particolare, non cessano di essere tutelati dalla nostra Carta costituzionale”.
Il Garante muove un certo numero di rilievi, criticando le condizioni materiali inaccettabili di alcune sezioni e le reiterate proroghe del regime al di là del necessario. Tanto la Corte Costituzionale quanto la Corte europea dei diritti umani sono state chiare nei loro pronunciamenti: il regime di 41bis deve avere come scopo quello di impedire i collegamenti con l’esterno e non deve invece servire per infliggere sofferenze aggiuntive al detenuto, già sottoposto alla pena della reclusione.
La pena non deve mai essere vendetta. Uno Stato forte è quello che è capace di tenerlo sempre presente. Piaccia o non piaccia ai poliziotti penitenziari che hanno scritto quei commenti, abbiamo una Costituzione e abbiamo strumenti sovranazionali a tutela dei diritti umani. I diritti umani appartengono a ogni uomo, libero o detenuto che sia. Questo non significa mettere in dubbio la certezza della pena né la lotta alla mafia. È tutt’altra cosa. Ci auguriamo che le più alte istituzioni dello Stato e chi ha compiti di governo esprimano solidarietà e vicinanza al Garante, dando all’esterno un messaggio inequivocabile di distanza da chi predica odio e violenza.