Dal 1 febbraio la Francia ha sancito la costituzionalità della legge del 13 aprile 2016, approvata da una maggioranza trasversale in Parlamento dopo sei anni di indagini e dibattiti, che ha introdotto la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, ha decriminalizzato le persone prostituite e ha creato programmi di uscita, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale, induzione alla prostituzione e tratta.

Il Cap international (Coalition abolition prostitution), organizzazione che ha sostenuto l’ampio novero di associazioni a favore della legge, ha pubblicato i risultati di uno storico sondaggio che dimostra come il 78% della popolazione francese sia a favore di questa legge e come l’83% dei francesi ritenga le persone prostituite vittime di reti criminali e non libere di scegliere. Molto interessante il dato secondo il quale il 74% reputa che la prostituzione sia violenza, mentre il 77% considera che pagare per il sesso equivalga a imporre un atto sessuale attraverso il ricatto finanziario.

Il fatto importante, fanno notare in Italia le attiviste di Resistenza femminista, è che tra gli argomenti sui quali Cap international ha richiamato l’attenzione del Consiglio Costituzionale, l’omologo della nostra Consulta, c’è che l’acquisto di sesso è in sé una forma di violenza e un ostacolo all’uguaglianza tra uomini e donne, una violazione del principio di non mercificazione del corpo e fattore trainante del traffico di esseri umani a scopo sessuale.

La notizia francese è importante a livello simbolico anche per l’Italia: sarà infatti discussa in pubblica udienza martedì 5 marzo 2019 dalla Corte Costituzionale la questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari in merito alla costituzionalità della legge 20 febbraio 1958 n. 75, che considera reato, punibile da due a sei anni di reclusione più multa da euro 258 a euro 10.329, il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione effettuato “in qualsiasi modo”, anche nel caso in cui questa sia esercitata volontariamente. Un’occasione storica per chiarire se il fondamentale principio dell’autodeterminazione in materia sessuale possa essere invocato anche per ricomprendere nella tutela dei diritti inviolabili, accordata dall’articolo 2 della Costituzione, l’attività lucrativa della propria genitalità, anteponendola alla dignità umana.

In Francia ha creato molto dibattito, prima della pronuncia del Parlamento, una lettera pubblicata da Le Journal du Dimanche, firmata da decine di uomini (psichiatri, giornalisti, filosofi, parlamentari, avvocati, medici, componenti dell’Alto Consiglio per la Parità) nella quale si legge tra l’altro: “Nella stragrande maggioranza ad essere clienti della prostituzione siamo noi uomini. Prima della legge del 2016 esercitavamo liberamente e senza remore il diritto, dietro pagamento, di disporre sessualmente di persone chiamate prostitute. […] Questo arcaico privilegio che ci permette di costringere una donna a compiere un atto sessuale per denaro, noi non lo vogliamo! Non abbiamo nulla da guadagnare da questo atto che ci trasforma in stupratori in grado di provare piacere solo dominando l’altra persona. L’acquisto di un corpo, per lo più quello di donne in situazioni di precarietà o di vulnerabilità, spesso vittime di sfruttatori o trafficanti, fa di noi dei predatori sessuali. […] Vietandoci di commercializzare il corpo altrui, il legislatore ha affermato il principio che le donne non sono destinate a essere valvole di sfogo per le pulsioni dei maschi, i quali di conseguenza non possono più ritenersi destinati a comportarsi come predatori sessuali. È questo il principio che noi vogliamo vedere confermato dalla legge”.

Intanto, in attesa di marzo, le attiviste di Resistenza femminista hanno commentato positivamente il risultato francese perché “aiuta a mettere in luce come l’ideologia economica ultra-liberista del movimento pro sex work, che ha attaccato la criminalizzazione dei compratori di sesso nel nome della ‘libertà di impresa’, avrebbe automaticamente portato a una situazione in cui lo sfruttamento, l’induzione e la gestione di un bordello sarebbero stati decriminalizzati, e quindi la tratta delle donne a scopo sessuale sarebbe esplosa.

Abbiamo denunciato il tentativo di introdurre la distinzione legale tra una prostituzione teoricamente ‘libera’ (chiamata sex work) e una prostituzione ‘forzata’ (chiamata tratta). L’esperienza europea contemporanea ha dimostrato ampiamente che in Germania e Olanda, dove è stata introdotta quella distinzione ideologica in nome del riconoscimento del sex work, sono stati di fatto decriminalizzati lo sfruttamento, l’induzione e la gestione di un bordello mentre dichiaravano di voler concentrare i propri sforzi nella lotta contro il traffico di esseri umani. Il traffico di esseri umani a scopo sessuale è aumentato drammaticamente in questi Paesi, dopo aver legalizzato il mercato dello sfruttamento sessuale”.

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