La protesta è per il prezzo del latte, ma alla base c’è un eccesso di produzione di pecorino romano. La rabbia dei pastori sardi, che nei giorni scorsi hanno sversato il loro prodotto sulle strade o l’hanno dato in pasto ai maiali pur di non venderlo a meno di 60 centesimi al litro, nasce dallo sforamento delle quote approvate dal Consorzio per la tutela del formaggio che si ottiene con quel latte. La sovrapproduzione ha fatto crollare il prezzo del pecorino e a quel punto i caseifici hanno deciso di abbassare a loro volta le cifre pagate per la materia prima ai pastori. Che ora chiedono il ripristino delle “restituzioni alle esportazioni” del pecorino, una forma di sussidio abolito nel 1996, e la gestione diretta delle quote di produzione in modo da avere più potere contrattuale.
In Sardegna si trova il 40% delle pecore allevate in Italia che producono quasi 3 milioni di quintali di latte, destinato per il 60% alla produzione di pecorino romano (Dop). L’anno scorso “ne sono stati prodotti 340mila quintali – spiega a ilfattoquotidiano.it Luca Saba, direttore di Coldiretti Sardegna – mentre il mercato ne poteva assorbire 280mila l’anno”. Questo era il tetto stabilito dal Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop per tutti i caseifici che ne fanno parte, la stragrande maggioranza dei quali si trova in Sardegna (il resto nel Lazio e in minima parte in Toscana). Ed è su questi numeri che si è consumato il corto circuito che ha spinto i pastori sardi a versare il latte per strada e nei canali, a darlo ai maiali o a regalarlo.
“Su 35 caseifici 33 hanno sforato il tetto” – “Il tetto – sottolinea Saba – viene rispettato assegnando quote proporzionali ai diversi caseifici, ma siccome le sanzioni per la sovrapproduzione sono basse (16 centesimi per ogni chilo di formaggio), c’è chi ha pensato che valesse la pena pagarle, perché sarebbe stato ricompensato con i ricavi delle vendite”. Questo anche perché a gennaio 2018 il mercato era in fase espansiva con una domanda notevole. “Tutti si sono lanciati nella produzione – continua Saba, fino ad arrivare a quei 60mila quintali in più. Su 35 caseifici, 33 non hanno rispettato le quote”. A giugno 2018 il prezzo del pecorino è crollato. “Tutto il mondo della trasformazione – commenta Saba – ha scaricato la responsabilità imprenditoriale sulla base produttiva (i pastori), attribuendo alla campagna 2019 un prezzo (60 centesimi) al di sotto dei costi di produzione, che non dovrebbe essere inferiore agli 80 centesimi al litro”. Insomma si scaricano gli effetti del disastro su chi produce latte, quando il pasticcio è da attribuire alla produzione di formaggio. E il Consorzio del Pecorino romano Dop non ha verificato che si stavano superando le quote? “Il Consorzio è composto dagli stessi trasformatori – aggiunge Saba – e tutti hanno evidentemente pensato che si potesse ancora una volta scaricare il rischio di impresa, riuscendo a compensare la maggiore produzione pagando di meno il latte”. Risultato: oggi sono a rischio in Sardegna almeno 12mila allevamenti di pecore.
“Azioni legali contro gli industriali” – A nulla è valsa finora la trattativa aperta a settembre con la Regione: “Il clima nelle campagne stava diventando esplosivo, abbiamo pregato che si accettasse la proposta di 77 centesimi, almeno per sbloccare la situazione, ma gli industriali non hanno voluto modificare neanche di un centesimo l’accordo”. Giovedì scorso agli allevatori è stato chiesto altro tempo, ma la campagna del latte è iniziata già da due mesi. Nel frattempo la Coldiretti ha annunciato che non parteciperà più al tavolo e ha messo in moto i suoi legali. “Ci rifaremo all’articolo 62 della legge 1 del 2012 in cui sono previste sanzioni oltre i 3 milioni – ha spiegato il presidente regionale Battista Cualbu – il comma 2 vieta qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, compreso qualsiasi patto che preveda prezzi particolarmente iniqui o palesemente al di sotto dei costi di produzione”.
“Ripristinare le restituzioni alle esportazioni” – Intervistato da Sardinia Post il presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, Salvatore Palitta, ha detto la sua: “Il prezzo del latte non può essere costruito a tavolino e senza tenere conto del mercato, sono dinamiche che vanno governate e le possiamo governare solo noi produttori di latte e formaggio”. E ha sottolineato la necessità di “un accordo serio che contenga innanzitutto una proroga del piano triennale di regolazione dell’offerta (che scade a marzo, ndr)” e che “si basi su presupposti certi, come le rilevazioni ufficiali dei prezzi”. Il Movimento dei pastori sardi chiede invece due cose: “Le restituzioni alle esportazioni del pecorino romano (sussidi economici distribuiti agli agricoltori comunitari per garantire loro un reddito minimo, ndr) abolite nel ’96, ma che esistono per altri prodotti”, dice al fattoquotidiano.it Federico Floris, portavoce del Movimento. “E, visto che il vero problema non è il latte ma il pecorino romano “vogliamo che le quote di produzione – conclude Floris – non vengano assegnate a industriali e cooperative. Il pastore che ha le quote, ha più contrattazione”.