Fa un freddo porco e la neve comincia a stringere la sua morsa anche sulla Valbormida. Sulle curve della Torino-Savona i tir rallentano e le cabine evaporano imprecazioni perché da un momento all’altro l’autostrada può diventare una trappola. Sulle alture di Roccavignale, Renato Agosto, meccanico in pensione, si erge come un’eroe del west su un fondale di mura medievali sopravvissute alle truppe di Napoleone. Lancia la trottola di legno che ha appena tornito lancia, la recupera al volto e continua a farla girare sul cucchiaio che stringe fra i denti. Renato è il “Trottolaio” di Roccavignale , il custode di una tradizione che si perde nei secoli. “La rotazione dura sino a due minuti – spiega – ma dipende dalla punta. Quando ero giovane era ricavata dalla testa di acciaio delle pallottole del moschetto”.

Nel 1996, una trottola gigante, entrò nel Guinness dei primati girando per 26 minuti, ma il facsimile, che ricorda l’evento, davanti al municipio, fa pensare anche alle giravolte e ai capricci dell’economia che, oggi, colloca anche Roccavignale nella cosiddetta “Area di crisi industriale complessa”, insieme ad altri comuni della provincia di Savona. Amedeo Fracchia, il sindaco, ci mostra un capannone abbandonato: “ Qui c’era la Salpa, uno dei più grandi impianti per la sabbiatura industriale. Carpenterie metalliche enormi,venivano, sabbiate, riverniciate e rimesse a nuovo. Lavoravano per Ansaldo, Finmeccanica e per la Tirreno Power – racconta – quando i grandi clienti, sono entrati in crisi, hanno dovuto chiudere. La Salpa aveva 75 dipendenti. Tanti per una realtà come la nostra che ha 760 abitanti, ma il fatto che abbia chiuso evitando il fallimento, ha dato alle persone il tempo di ricollocarsi sul territorio”.

Un altro cappannone, ancora più grande ci viene mostrato da Armando Caneto: “Vendevo 1600 quintali di alluminio al mese, ma con il collasso del mercato edilizio è crollato anche quello dei serramenti. Di tutti i clienti che servivo, 200 o 280, da Sestri Levante a Marsiglia, ne saranno rimasti una ventina”.  Armando è un patriarca dell’industria che, prima di arrivare a 83 anni, ha aperto 23 aziende e oggi rimpiange di non avere abbastanza “cose da fare”.

A fianco dei capannoni abbandonati non manca chi cerca di resistere. Valentina Genta combina i pearcing e la grazia delle donne che lavorano nella moda o nella finanza, con una rozza divisa da operaio. Lavorava alla Salpa come impiegata e quando la ditta ha chiuso, nel 2015, ha aperto col marito una piccola azienda che fa sabbiature e verniciature. “Io ho fatto domande dappertutto, dai supermercati ai negozi, alle pulizie e non trovavo nulla. Poi, con mio marito abbiamo deciso di investire la liquidazione e di metterci in proprio”.

Faceva l’operaio anche Alessio Armandi (28 anni) che ha deciso di riattivare il forno a legna del nonno e fare il panettiere. Gli occorrono tre ore per portare il forno alla temperatura giusta e poi deve correre a distribuire il pane ma il prodotto, che sembra uscito da un film di Olmi, vale la fatica. Sulla collina di Roccavignale, una panchina gigantesca creata da Chris Bangle, il designer delle Bmw, permette di sedersi in gruppo, come bambini in gita, e contemplare un paesaggio, ma, i boschi, sino a pochi anni fa erano campi coltivati. “La campagna l’abbiamo lasciata andare – dice Renato Agosto – il problema è che abbiamo viziato i giovani”.

Chi non appare “viziato” è Alessio Fracchia che a 22 anni si è messo a produrre miele: “Ho iniziato con dieci sciami e ora ne ho 150. Non ci vivo ancora ma non cambierei questo lavoro per un posto in fabbrica”. Per promuovere la produzione di cibo che sembra uno dei pochi settori in espansione in Liguria , il comune ha assegnato la De.Co – la Denominazione comunale di Origine – sia al miele di Alessio che alle cipolle ripiene di Manfredina Ghisolfo. A 85 anni, la titolare della ricetta, accetta di rivelarla a alla telecamera di Mario Molinari e a due giovani cuoche, Paola ed Eleonora, che hanno una gastronomia ed entrambe vengono da altri mestieri: una faceva la cameriera e l’altra l’operaia.

Dopo aver pagato un prezzo altissimo all’industrializzazione – basti pensare all’Acna di Cengio – la Valbormida sta lentamente tornando alla risorsa di una delle di più grandi macchie verdi d’Europa: la produzione di alimenti. Anche il sindaco di Roccavignale, ci crede al punto che, ha investito sul vino, destinando 22000 metri quadrati (che diventeranno 60mila) alla produzione di granaccia. “Diventerà il più grande vigneto della Valbormida – dice – e se andrà bene ci saranno dei giovani che seguiranno la stessa strada “

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