Ciclicamente ritorna l’idea di ingressi limitati, o a pagamento, nei luoghi simbolo del turismo. Di solito è un tormentone estivo. Molte città con questa vocazione, grandi o piccole che fossero, lo hanno annunciato, tentato o già sperimentato, sempre con il seguito di polemiche da parte di qualche esercente o di coloro che perseguono il politicamente corretto in salsa turistica, “il suolo è di tutti”, “l’accesso deve essere libero”, “la libertà di movimento è uno dei cardini della democrazia” e via con vari luoghi comuni.

Il sovraffollamento di Venezia in più non è il suo unico problema: ci sono le grandi navi, il Mose, le bancarelle abusive, l’acqua alta, lo spopolamento da parte dei residenti, eccetera. Sì, perché la contraddizione è proprio questa: da una parte i veneziani che se ne vanno, dall’altro l’orda di cavallette fameliche che si accalcano su ponti, vaporetti, calli, campi e campielli.

Solo a Venezia, sino al 31 dicembre 2017, sono arrivati 9,5 milioni di turisti, mentre le presenze sono state 37 milioni. Rispetto al 2016 c’è stata una crescita rispettivamente di 8 e 7,6 punti percentuali. Nonostante poi molti lamentino l’esosità delle strutture ricettive, anche qui un dato significativo sulla presenza negli alberghi, con i numeri di arrivi a +4,5% e delle presenze a +4,1%. E il 2018 non è stato da meno, con l’aumento percentuale anche del cosiddetto turismo mordi e fuggi, che è quello che ovviamente comporta danni, costi e pochi benefici. Turismo proveniente da cielo, terra e mare, con le grandi navi che scaricano un flusso spaventoso di persone.

Nonostante un algoritmo matematico della Capitaneria di porto, che avrebbe dovuto selezionare l’ingresso da luglio delle navi da crociera – sulla base del combustibile usato dalle caldaie della nave, la forma dello scafo e l’idrodinamica, nonché lo spostamento d’acqua, l’onda generata, il dislocamento e gli apparati di sicurezza per la navigazione -, sono ancora in media sei o sette le navi da crociera con circa 3-4mila passeggeri che ogni fine settimana approdano alla stazione marittima di Santa Marta. Occorre valutare se è conveniente per l’immagine e i ritorni economici della città fluidificare il turismo, anche applicando una tassa d’ingresso, oppure privilegiare principalmente il decoro urbano, indirizzare gli amanti della città lagunare a percorrere calli e callette tanto suggestive e fascinose quanto i due o tre luoghi da cartolina. Distribuire cioè i famelici visitatori, famelici quanto i piccioni a non ambire solo alla foto simbolo San Marco-piccione-gondola-Rialto, ma ad addentrarsi a conoscere un angolo nascosto, proibito, una specie di caccia al tesoro alla meraviglia sconosciuta.

Quest’attitudine a concentrarsi in un solo punto, creando ovviamente ingorghi nelle calli adiacenti, è tipica di chi visita la città distrattamente. Un modo alternativo di visitarla potrebbe essere creare un vademecum per le guide turistiche e i tour operator, incentivando, come fatto innovativo e premiante per i loro clienti, il fascino e la meraviglia di visitare un luogo mai visto da nessuno, una specie di Indiana Jones alla ricerca della pietra verde lagunare perduta. Uno sprone per far inorgoglire il turista americano o giapponese come un novello conquistatore di immagini rare ed esclusive. Forse sarebbe una piccola soluzione per preservare il ricordo, sia per loro che per noi, della città e della sua Bellezza.

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