Una violazione degli standard etici internazionali rischia di rendere la comunità scientifica “complice” dei metodibarbarici” con cui il governo di Pechino per anni ha sopperito alla domanda di organi con gli espianti forzati su prigionieri di coscienza. E’ quanto sostiene uno studio realizzato da Wendy Rogers, docente di etica clinica a Sydney, pubblicato mercoledì scorso sulla rivista medica BMJ Open. Secondo l’esperta, oltre 400 paper scientifici sul trapianto di organi potrebbero aver violato il codice etico che impone una verifica della volontarietà delle donazioni. “Il silenzio del mondo su questo problema barbarico deve finire”, afferma Rogers, invitando il settore della ricerca a pretendere maggiore trasparenza da parte delle autorità cinesi.

Quello degli espianti forzati è un problema di vecchia data oltre la Muraglia. Per motivi di carattere religioso e culturale i donatori dell’ex Celeste Impero sono quasi inesistenti, tanto che gli organi provenienti dai detenuti giustiziati hanno supplito per anni a circa due terzi delle operazioni. Balzata ai disonori della cronaca nel 2006 in seguito alla repressione del movimento “fuorilegge” della Falun Gong, la pratica è stata ufficialmente bandita nel 2015. Eppure ad oggi non esiste ancora nessuna legge o regolamento che permetta di debellarla del tutto. Un rapporto pubblicato nel 2016 evidenzia una notevole discrepanza tra le cifre ufficiali dei trapianti rilasciate dal governo cinese (10.000 l’anno) e i dati ospedalieri (tra 60.000 e 100.000). Un divario che gli esperti attribuiscono proprio all’impiego di prigionieri di coscienza.

Invitato dalla Pontificia Accademia delle Scienze a partecipare al summit contro il traffico di organi, nel febbraio 2017 l’ex ministro della Sanità, Huang Jiefu, oggi a capo della Commissione per la Donazione degli Organi cinese, ha ammesso che – nonostante la “tolleranza zero” – la vastità della popolazione cinese è tale da motivare una parziale violazione dei divieti. Quello stesso anno il parlamento europeo ha riportato “notizie credibili” di espianti praticati senza consenso su carcerati. Prevalentemente membri della Falun Gong, ma anche uiguri, tibetani e cristiani. Nuove prove schiaccianti potrebbero arrivare la prossima primavera, quando un tribunale popolare indipendente di Londra (l’Independent Tribunal Into Forced Organ Harvesting from Prisoners Of Conscience in China) renderà pubblico l’esito delle indagini condotte sulla base di trenta testimonianze.

Le preoccupazioni delle autorità non sembrano, tuttavia, aver raggiunto gli addetti ai lavori. Secondo Rogers, il 99% delle oltre 400 ricerche sui trapianti in Cina pubblicate in lingua inglese tra il 2000 e il 2017 sono state condotte senza verificare la provenienza degli organi. Sul banco degli imputati anche il Journal of American Transplantation e la rivista ufficiale della The Transplantation Society [TTS], colpevoli di aver ripreso documenti discutibili, malgrado la sbandierata integrità etica. Nel 2017, la rivista medica Liver International era stata costretta a ritirare uno studio scientifico realizzato da alcuni chirurghi cinesi su 564 trapianti di fegato a causa dell’evidente discrepanza con il numero dei donatori volontari nei quattro anni di ricerca.

“Chiediamo la ritrattazione immediata di tutti i documenti basati sull’uso di organi espiantati da prigionieri giustiziati”, conclude Rogers, auspicando l’organizzazione di “un vertice internazionale per sviluppare le politiche future sulla gestione della ricerca sui trapianti in Cina”.

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