Vita e morte di migliaia di persone in mare, così come la qualità di vita di centinaia di milioni di persone nei Paesi più poveri del mondo, non possono diventare oggetto di sciacallaggio per fini di mera campagna elettorale. Dobbiamo parlare delle cause di quest’enorme disuguaglianza? Certo, ma non come il cittadino Alessandro Di Battista è ormai solito fare. Anche per questo, non solo per il suo cv incompleto e modesto, non lo assumerei mai come cooperante. Ma nemmeno come stagista.
Penso di conoscere la questione franco Cfa: certamente non in maniera così approfondita da parlarne in tv, ma indubbiamente meglio del turista politico Di Battista, avendo lavorato diversi anni – e non qualche mese – in Africa. Parlarne in maniera così superficiale e irresponsabile genera conseguenze: è il metodo Lino Banfi. Basta competenze, una risata ci seppellirà.
Tutti i governi cercano in maniera più o meno aggressiva di espandersi e avvantaggiarsi a danno degli altri. A seconda di come i cittadini votano, i vari governi conficcano più o meno profondamente i loro artigli nella carne dei Paesi più poveri. Quindi se il compagno Dibba e il Governo del cambiamento Anticolonialista volessero davvero occuparsi del tema, possono modificare la politica estera italiana; troppo facile puntare il dito contro la Francia.
Lo status in cui versano le nostre ex colonie non può che renderci umili nel giudizio verso gli altri e il comportamento delle nostre multinazionali in questi Paesi non è molto diverso da quelle francesi o degli altri Paesi. Tutto legittimo fino a che le leggi non vengano violate, ça va sans dire, ma resta una scelta di politica del governo italiano migliorare la propria politica estera e chiedere, o non chiedere, un cambio di policy a queste aziende che continuano a fare una politica economica a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, in maniera simile alle altre multinazionali estere.
L’Arabia Saudita continua a ricevere bombe 100% made in Italy per la guerra in Yemen, in piena violazione della legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra. Ci giochiamo pure la Supercoppa senza contare la continua violazione dei diritti (quelli delle donne in particolare), la pena di morte contro gli oppositori e la responsabilità nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.
Sud Sudan, Sudan, Darfur, Somalia, Eritrea, Centrafrica, Congo: il Governo Anticolonialista come si sta occupando delle più tremende crisi africane denunciate tra i pochi da Padre Zanotelli? E in Afghanistan, dove siamo il terzo contingente militare, qual è il nostro contributo ai negoziati di pace in corso adesso? O le guerre non hanno nulla a che vedere sulle cause per cui le persone emigrano?
Tutta colpa della Francia e del franco Cfa? Ne dubito. La Francia cerca di conservare la sua influenza in Africa anche attraverso l’utilizzo del franco Cfa e sappiamo che chi ha provato a ribellarsi finì male, come Sankara in Burkina e Sylvanus Olympio in Togo. Certo le politiche postcoloniali alternative, tipo quella inglese, non paiono migliori e tutti, da Germania a Cina, Russia, India, Brasile e Turchia, fanno a gara ad accaparrarsi le risorse africane.
La moneta françafrique, oltre a garantire la stabilità dei 14 Stati che lo utilizzano evitando le megainflazioni tipo Zimbabwe, ha vantaggi certi per noi europei: una moneta forte, legata all’euro senza possibilità di svalutazione competitiva, in Paesi deboli economicamente. Essa permette l’esportazione dall’Africa solo di materie prime, favorendo l’importazione dei nostri prodotti rifiniti. Enrico Mattei si propose come Italia non solo a collaborare nell’estrazione di petrolio, ma anche a raffinarlo in loco. Fece la fine di Sankara.
Il settore agricolo africano deve scontrarsi continuamente con i prezzi dei prodotti europei, resi bassissimi dai generosi sussidi comunitari, che così come sono solo +Europa critica. Che ci fanno le cipolle olandesi in Senegal? A guardar bene il lato oscuro della moneta françafrique è perfettamente in linea con le priorità governo gialloverde: qual è la posizione del Partito Anticolonialista 5 Stelle sulla possibilità per gli africani di esportare senza dazi e liberamente i loro prodotti agricoli? Ricordo bene la sguaiata la protesta 5 Stelle contro l’acquisto da parte dell’Unione europea di olio tunisino esente da dazi. Era il tempo del governo Renzi e due attentati terroristici avevano messo in ginocchio il turismo tunisino. Venne chiesto all’Europa un contributo di solidarietà per aiutare la Tunisia. Forse l’anticolonialista Di Battista era già in vacanza.
Un bell’articolo de Linkiesta mostra che i guai dei Paesi africani sono legati in minima parte alla moneta che utilizzano. I Pil 2018 nei Paesi del franco Cfa variano in maniera ampia: si va dal +7,4% della Costa d’Avorio alla recessione in Guinea Equatoriale. Stesso quadro emerge se guardiamo al debito pubblico e al valore dell’export rispetto al Pil: varia molto nei Paesi Cfa. Un po’ come nell’area euro, del resto. Anche il confronto tra Paesi con franco Cfa e gli altri dell’Africa subsahariana non mostra uno svantaggio economico, considerando sia la crescita del Pil reale che quella del Pil pro-capite. Il Sole 24ore racconta l’esempio della Guinea Bissau, a ulteriore riprova di quanto sia ininfluente la moneta in generale e il franco Cfa in particolare: prima e dopo l’ingresso nel sistema franco Cfa il Pil non cambia.
Ciò che emerge invece in maniera chiara e comune a tutti i Paesi è che l’Africa deve misurarsi con la bomba demografica: in 35 Paesi il tasso di fertilità è superiore a quattro figli per donna. In questi Paesi, per quanto possa crescere il Pil e la redistribuzione delle risorse fosse equa, la popolazione cresce troppo velocemente, imponendo una qualità di vita sempre peggiore. Questo concetto, definito dividendo demografico, è stato il tema di lavoro principale dell’Unione Africana nel 2017.
La lotta al matrimonio in età troppo giovane e l’accesso volontario alla medicina contraccettiva sono pilastri del dividendo demografico. Consiglio al cittadino Di Battista di guardare su Radio Radicale il convegno internazionale che ho organizzato in apertura del congresso dell’associazione Luca Coscioni a Milano. Invitai il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, che dopo avermi raccontato di aver distribuito preservativi femminili in Africa (un altro volontario alla Dibba), non solo non confermò la sua presenza, ma alla richiesta di farsi sostituire da un funzionario del suo ministero mi comunicò di invitare qualcuno dei suoi consiglieri regionali lombardi 5 stelle. Senza considerare il fatto che l’invito si rivolgeva all’istituzione e non al partito.
Tutti i singoli Stati nazionali europei che continuano a giocare a Risiko in Africa sono destinati all’irrilevanza al cospetto di Cina e Russia. La distrazione di massa gialloverde – sempre tesa alla ricerca di un nemico e mai al governo dei fenomeni – ha il fiato corto. Gli italiani capiranno che non può essere sempre colpa degli altri. Solo l’Unione europea ha la possibilità di competere in Africa con i giganti internazionali, assicurando, rispetto a loro, la capacità di garantire economie di mercato combattendo lo sfruttamento e favorendo riforme strutturali, industriali e finanziarie. Già lo fa, timidamente. Diamo un po’ più potere all’Europa comunitaria e un po’ meno a quella intergovernativa. Serve Più Europa e meno Di Battista.