È iniziato questa mattina davanti alla Corte d’Assise a Macerata il processo per l’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana fatta a pezzi e ritrovata cadavere in due trolley poco più di un anno fa. Alla sbarra come unico imputato c’è il nigeriano Innocent Oseghale: è accusato di omicidio e occultamento di cadavere. “Ci aspettiamo la condanna di Oseghale al massimo della pena possibile”, è l’auspicio della madre di Pamela, Alessandra Verni, che in aula ha indossato una maglietta rosa con la foto della figlia. Presente anche il padre, Stefano Mastropietro. Oseghale segue le udienze dalla stessa aula, ma rinchiuso in un gabbiotto. La madre dice di aver cercato insistentemente il suo sguardo, ma non è stata ricambiata. “Non ha le p…e”, ha commentato. Fuori dal tribunale, il sit-in per ricordare la ragazza con palloncini tricolore e due striscioni, con scritto ‘Pamela vive’ e ‘Giustizia per Pamela’. Il gruppo di persone non è stato fatto entrare in aula, tra le proteste degli stessi partecipanti.
Il 30 gennaio del 2018, allontanatasi dalla comunità di recupero Pars di Corridonia, in provincia di Macerata, dove combatteva la dipendenza dalla droga, la ragazza romana aveva fatto perdere le sue tracce. Il suo cadavere venne ritrovato poco dopo fatto a pezzi in due valigie abbandonate nella zona industriale di Pollenza, nel Maceratese. Oseghale, spacciatore di 29 anni, viene fermato dai carabinieri: nella sua casa erano stati trovati i vestiti della vittima, sporchi di sangue, e altre tracce ematiche, oltre a uno scontrino di una farmacia, poco distante da dove Pamela aveva precedentemente acquistato una siringa. Qualche giorno dopo erano stati fermati altri due nigeriani, Desmond Lucky e Lucky Awelima, accusati di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere in concorso con Oseghale. Nei confronti di questi ultimi due però il quadro accusatorio cade nelle settimane successive: verranno scagionati dall’accusa di omicidio e restano in carcere per spaccio di eroina.
Imputato rimane dunque il solo Oseghale, assistito dall’avvocato Simone Matraxia, continua ad affermare di non aver né violentato né ucciso la ragazza, morta secondo la sua versione per overdose: l’imputato ammette soltanto di averla fatta a pezzi. “Non sono stato io. Non l’ho violentata, non l’ho uccisa. Voglio pagare solo per quello che ho fatto, non per ciò che non ho commesso”, ha fatto sapere tramite il suo legale, che spiega: “Noi sosteniamo che la morte della ragazza sia stata causata da intossicazione acuta da stupefacenti e non per le coltellate”. I segni sul cadavere, secondo la difesa, sarebbero da attribuire al tentativo di sezionamento del cadavere, mentre per quanto riguarda “la cessione della droga è pendente un altro procedimento”, continua il difensore di Oseghale.
Il 3 febbraio 2019, sulla scia delle polemiche che hanno scosso l’opinione pubblica e la comunità maceratese in merito allo spaccio e all’immigrazione, Luca Traini, simpatizzante di Forza Nuova, spara dei colpi di pistola a bordo di un’auto nera “per vendicare Pamela“, ferendo sei immigrati di colore. Dopo il raid xenofobo, che scatenerà ulteriori polemiche in tutta Italia, Traini verrà condannato a 12 anni per strage con l’aggravante razzista.
“Noi continueremo a indagare per quello che ci è consentito e anche su altri aspetti per capire se, effettivamente, Oseghale abbia fatto o meno tutto da solo”, commenta Marco Valerio Verni, zio e legale della famiglia di Pamela Mastropietro. “Ci sembra improbabile che abbia fatto tutto da solo – continua il legale – Vorremmo venissero fuori anche altre situazioni, in parte emerse dalle carte processuali, come la questione della mafia nigeriana. Ci aspettiamo il massimo risultato possibile”.
Commentando l’inizio del processo, che oggi a Macerata vede celebrarsi la prima udienza, il legale osserva: “Siamo abituati alla sofferenza dopo aver visto come è stata ridotta Pamela. Ci dà la forza di andare avanti la vicinanza di tante persone che, nel corso del tempo, sono aumentate”.