Tra qualche giorno andrò alla presentazione del disco L’infinito, di Roberto Vecchioni. L’evento è a L’Aquila, sabato 16 febbraio, alle 18,30, organizzato da quel meraviglioso “spacciatore di cultura” che è Roberto Maccarrone. Sarà molto emozionante, lo so già. A questo disco infatti sono molto affezionato, perché il suo autore me ne parlò l’ultima volta che ci siamo visti, più di un anno fa. Mi invitò a tenere una lezione nel suo corso sulla canzone d’autore a Pavia e in macchina, al ritorno, tra una chiacchiera e l’altra, mi disse più o meno che per lui sarebbe stato il disco della vita.
Fa impressione, credetemi, sentire queste parole da un fuoriclasse come Roberto Vecchioni, con la carriera che ha. Pensavo stesse esagerando, perché gli artisti lo fanno: esagerano sempre. E invece no. Era dicembre, il disco è uscito nel novembre dell’anno successivo. Non ho voluto chiedere preascolti, niente di niente.
L’infinito è il culmine di una poetica personale, il raggiungimento di qualcosa che insegui per una vita intera. Sono 12 canzoni, che non trovate in rete: se lo volete dovete acquistarlo fisicamente. Da novembre l’ho centellinato, ascoltato, studiato. E l’ho portato con me in Liguria, nel progetto “Cantautori nelle scuole” della Regione, e tra i banchi della scuola dove insegno. L’infinito – canzone eponima -, Parola, Ti insegnerò a volare, Vai, ragazzo sono brani che lanciano un ponte tra generazioni, che invitano a credere nei propri mezzi, parlano ai ragazzi di un mondo possibile tramite l’amore per la cultura, e lo fanno con un linguaggio semplice. “Io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero”, cantava Roberto in Sogna ragazzo sogna. Ed è davvero tutto lì il punto.
Quanti ne avrà conosciuti di ragazzi il professor Vecchioni? Tantissimi. Ma la sua non è solo pedagogia, è più che altro allenamento all’umanesimo, alla sensibilità, al fatto di porsi continuamente domande. Vecchioni ha un amore smisurato per l’uomo. L’infinito prende tutte queste domande e, con il proprio armamentario di costante felicità, batte il dolore definitivamente. Lo fa attraverso Leopardi, perché la canzone funziona così: si serve dell’immaginario, lavora con le icone potenti e riconoscibili per portarti dove dice lei, quando è grande canzone.
Leopardi per quasi tutti è il poeta dell’infelicità, della tristezza, e invece la sua poetica si nutre di “una inesausta passione per l’uomo, per la sua integralità […]. Al centro vi è una contestazione attiva contro tutto ciò che depaupera e avvilisce le forze vere dell’uomo” (La protesta di Leopardi, W. Binni, Sansoni, 1973, p. 8. Quanto sarebbe importante, oggi, rileggere a scuola questo libro!). È quando l’uomo non è degno di essere chiamato uomo, cioè quando non si pone domande e non cerca di conoscersi con tutte le proprie forze, che si attuano le proteste di Leopardi e di Vecchioni (di questo parla il suo disco precedente: Io non appartengo più). Leopardi allora è il suo personalissimo trampolino per battere il dolore, quando il dolore è un mondo che non ci corrisponde.
Vecchioni fa passare il fuorviante e mesto immaginario leopardiano attraverso La vita che si ama, il suo libro del 2016: la felicità non è nell’entusiasmo di un momento, non è il tiro magnifico del giocatore da biliardo. La felicità è, prima di tutto, capire chi sei e ciò che ti appartiene: si cela in tutti i tiri che ti permette il tavolo, è la geometria stessa; sta a te capire quali sono i tuoi. Perciò ti sta sempre accanto. L’infinito risolve il dolore di Leopardi tramite ciò che Vecchioni ha di più caro: gli anni Sessanta, la sua giovinezza, i ragazzi, la famiglia, la poesia, il mondo classico, gli amici (Guccini, per esempio), il linguaggio, la storia delle parole e… Napoli, la città del padre Aldo, quella meraviglia totale cantata nella canzone che dà il titolo al disco. Non c’è un briciolo di nostalgia in quest’album: è vivo, potente, perché il mondo cantato è il mondo interiore, tempo verticale, che Vecchioni si porta dentro e rivive in ogni gesto, in ogni canzone.
Roberto Vecchioni è uno dei personaggi più importanti della cultura italiana, uno dei massimi esponenti della letteratura della canzone della storia italiana. Chissà che non sia giusto pensare di affidargli uno dei ruoli più prestigiosi, quello di Senatore a vita. Per quello che rappresenta, per com’è capace di parlare ai ragazzi, non credo che sarebbe un ruolo inappropriato.