La Corte dei Conti indaga sugli ormai celeberrimi rocchetti di nichel da 197 chilometri dato in pegno al Comune di Roma nel 2011. A 8 anni da un episodio che, nella Capitale, è ormai divenuto leggenda. E di cui nel 2018 si è occupata anche un’inchiesta di Fq Millenium sull’autore della truffa, Giovanni Calabrò, il “marchese del Grillo”. La notitia criminis per i magistrati contabili è rappresentata da un articolo apparso sul quotidiano romano della famiglia del costruttore Caltagirone, Il Messaggero, che racconta di una perizia ordinata dalla Procura di Vicenza che indicherebbe come di “scarso valore” il materiale ceduto al Campidoglio a fronte di un credito da 36 milioni di euro. Gli avvocati dei debitori di Roma Capitale, sostengono però che gli inquirenti vicentini, nell’ambito delle indagini su una vicenda collegata, avrebbero derubricato la relazione a “documento senza alcun valore scientifico”. Ma non è (solo) questo il punto. A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, la Corte dei Conti non si era mai occupata della vicenda, che dunque – fatta salva la probabile prescrizione – sarà passata al vaglio sin dall’inizio. Anche perché a dir poco surreale.
IL PEGNO SUL FILO – I fatti sono noti. All’inizio degli anni 2000 un finanziere di Reggio Calabria, Giovanni Calabrò meglio conosciuto come “Il Marchese”, proprietario della società Calfin Metal Trading, acquista da una società immobiliare romana, la Cometa srl, un credito da 65 miliardi di lire. Credito che si trasforma improvvisamente in un debito, quando nel 2011 la Cassazione dice che la Giunta Rutelli aveva fatto bene, nel 1997, a espropriare il terreno agricolo di Cometa e che nessuno aveva null’altro a pretendere. Solo che la Tesoreria capitolina aveva già ripianato i debiti con credeva di avere con Calabrò. Che avrebbe dovuto quindi restituire il denaro. E’ a quel punto che, invece di saldare subito, la Calfin strappa al Comune la possibilità di fornire in garanzia la partita di “nichel wire”. Si tratta di filo di metallo incredibilmente sottile (0,025 millimetri di spessore, inferiore a quello di un capello) – di uso prevalentemente militare – della lunghezza di 197 mila metri e del peso complessivo di 868 grammi, diviso in cinque rocchetti, puro al 99,98 per cento ed esposto alle fisiologiche oscillazione di mercato. Non certamente di un metallo pregiato, anche se viene largamente impiegato in vari settori (per esempio per la fabbricazione di parti di dispositivi elettronici). Secondo la Calfin i rocchetti valgono oltre 55 milioni di euro.
Il problema è che sono 8 anni che il Campidoglio cerca di vendere all’asta il nichel, ma non trova acquirenti a cui serva tutto quel materiale e sia disposto a pagarlo tutti quei soldi, nelle modalità richieste. “Ma i soldi in un modo o nell’altro dovranno rientrare”, sottolineano dal Campidoglio. Calabrò con il sostegno dei suoi legali, conferma intanto il valore originariamente attribuito originariamente ai rocchetti di nichel che pure giacciono invenduti. “Il nostro nichel wire dato in pegno al Comune è un prodotto di difficile reperibilità sul mercato da non confondere con prodotti diversi di qualità e per usi più di larga scala. Ci sono quotazioni ufficiali e processi produttivi complessi. Non può liquidare la materia così alla carlona”, dichiara interpellato in merito da ilfattoquotidiano.it.
LE INDAGINI A 360 GRADI – Sia come sia, è ovvio che in tutta questa vicenda la Corte dei Conti dovrà ricominciare da capo. Anche perché i possibili profili di danno erariale non si limitano al tema delle perizia vicentina. Innanzitutto, il nichel ha un valore fluttuante: è entrato con una quotazione da 323 euro al metro, ma negli anni è molto calato. E poi conservarlo costa, e pure tanto. Inizialmente, infatti, i rocchetti erano stati tenuti in Svizzera, nel porto franco dell’aeroporto di Ginevra. Ma quando l’ex sindaco Ignazio Marino chiese di velocizzare il processo di vendita del materiale, l’allora capo dell’Avvocatura, Rodolfo Murra, chiese e ottenne di portare il nichel in Italia, presso il caveau segreto di un istituto di vigilanza. Al prezzo di 20.000 euro al mese per custodia e assicurazione. E poi c’è il problema della vendita: si tratta di un materiale cedibile o, seppur di valore, sostanzialmente non monetizzabile? Il dubbio viene. Recentemente il Comune di Roma ha dato un aut-aut alla Calfin chiedendole di mettere fine a questa storia pagando i 36 milioni di euro e riprendendosi il materiale. “Cosa che a noi converrebbe pure – spiega l’avvocato di Calabrò, Salvino Mondello – perché i rocchetti valgono quasi il 60% in più del debito con il Comune. Solo che 30 milioni di euro non è che si trovano nel portafogli. Stiamo trattando”. Conferma anche Calabrò, che dal suo numero estero scrive a ilfattoquotidiano.it: “Notizie errate potrebbero creare disagio alle trattative in corso, che invece stanno andando verso una soluzione”.