Tra le minacce borbottate da un Matteo Salvini in divisa e i roboanti proclami di un Luigi Di Maio incravattato – che Giuseppe Conte si premura di ridimensionare l’indomani – i Tg nazionali ci nascondono fatti e tendenze che orientano ormai l’immaginario popolare fuori dalla nostra “provincia”. Segnali sempre più percettibili che si oppongono alla distruzione dei diritti, all’esclusione e alla costruzione di muri, dispensati come trucide vie di scampo per una parte della popolazione di un pianeta sempre più inospitale. Vengono fortunatamente a galla le autentiche emergenze che segneranno un futuro assai prossimo e che, tra loro interconnesse in una visione ampia come quella di Bergoglio o incardinate nell’esperienza dei lavoratori e degli studenti tornati in piazza per una buona vita e un lavoro degno, ridicolizzano le prove muscolari e gli abbagli dei “cacicchi” di turno.
È giunto il momento di narrare la realtà per quello che è, non per quello che vogliono che appaia. Qui accenno ad alcuni dei segnali di un promettente cambiamento in corso, che può diventare irreversibile nel mondo se, contemporaneamente, vengono denunciati gli inganni che tendono a sminuirne la portata e sono svelati gli interessi che ne impediscono una piena affermazione.
È vero che Donald Trump non ha nemmeno menzionato il cambiamento climatico nel suo discorso annuale al Congresso, tutto dedicato al muro col Messico, ma, intanto, i democratici Usa stanno varando un Green New Deal, un autentico “piano Roosevelt” di forte impatto climatico e sociale.
È vero che Alessandro Di Battista e l’amico hanno incontrato i gilets jaunes, ma, secondo la Reuters, la Francia ha richiamato il suo ambasciatore non soltanto per un’inusitata ingerenza, ma perché la concorrenza tra la Total francese e l’italiana Eni sul petrolio in Libia è giunta a un punto di rottura.
È vero che il ministro Sergio Costa non sembra preoccupato delle trivelle in mare e nemmeno della mancata decarbonizzazione delle nostre fonti energetiche, ma che dire dello sciopero degli studenti belgi che al grido “Siamo più caldi del clima” per la quarta settimana di fila hanno manifestato in oltre 30mila per sollecitare interventi contro i cambiamenti climatici?
E se è vero che Nicolas Maduro non è Simon Bolivar né Hugo Chavez, vale anche l’affermazione di Ed Crook sul Financial Times del 9 febbraio: “L’unica cosa che il presidente Trump odia più dell’Iran o del Venezuela sono i prezzi alti della pompa. E se è costretto a scegliere tra i due, sceglierà l’abbassamento dei prezzi del petrolio”.
Oltre alla ripetizione delle lotte di potere dei soliti noti, prendono piede in varie parti del pianeta atteggiamenti, azioni e comportamenti, in particolare delle nuove generazioni che sostituiscono la solidarietà all’individualismo della paura. Il clima, come nei due esempi sottostanti, fa da catalizzatore.
Mentre complessivamente nel mondo il consumo di energia è in crescita (una quota inferiore di fossili non significa che queste fonti siano in calo in termini assoluti), un report recente finanziato da grandi patrimoni (Bill Gates, ad esempio) cerca di definire l’apporto praticabile di tecnologie per ridurre le emissioni climalteranti. Si tratta di un approccio prettamente illuministico, fiducioso che, nei prossimi 30 anni, grandi investimenti sul clima anziché in armamenti possano abbattere la soglia di Co2. L’amministrazione Trump renderà certamente difficile pianificare un portafoglio di innovazione energetica efficace, ma occorre segnalare che il tentativo va controcorrente, pur affidandosi forse in maniera fin troppo esclusiva al salvataggio tecnologico della Terra.
In antitesi a questo approccio, ma con un grado di piena convergenza riguardo l’esito di una totale decarbonizzazione del sistema elettrico, sta rapidamente prendendo piede nel partito democratico statunitense un Green New Deal. L’idea è quella di arrivare a un futuro a basse emissioni di carbonio accompagnando il percorso con considerazioni e priorità di equità sociale. Entro dieci anni il 100% dell’elettricità americana proverrebbe da fonti rinnovabili e senza investimenti in nuovi reattori nucleari.
La proposta, accompagnata dall’introduzione di una Carbon tax, è guidata da Alexandria Ocasio-Cortez, la neoeletta al Congresso, una socialista democratica di New York che la definisce “transizione dal nucleare e da tutti i combustibili fossili il prima possibile”.
Interessante nella posizione di Alexandria Ocasio-Cortez è l’ampio profilo di una visione del Green New Deal come un piano per combattere l’ingiustizia economica e razziale e combattere i cambiamenti climatici. Una posizione ormai all’ordine del giorno della strategia delle prossime presidenziali, che spingerà i democratici a gareggiare per la Casa Bianca nel 2020 non solo per aderire all’idea generale, ma per stabilire obiettivi legislativi specifici con cui ottenere la meta passo dopo passo.
Il documento, che è sostenuto anche dal Movimento Sunrise gestito dalla gioventù, appoggia l’assistenza sanitaria universale, la garanzia di posti di lavoro e l’istruzione superiore gratuita, compiendo un enorme cambiamento nella comunicazione di un decennio fa, quando i democratici sostenevano un sistema “cap-and-trade” per limitare i gas serra, assegnando a pagamento i permessi di inquinamento industriale.
C’è sintonia tra l’impianto comunicativo della giovane deputata e le connessioni che compaiono nell’enciclica Laudato Sì. Lo testimoniano le parole da lei pronunciate per combattere il cambio climatico: “promuovere la giustizia e l’equità fermando l’egoismo, prevenendo il futuro e riparando l’oppressione storica delle popolazioni indigene, delle comunità di colore, delle comunità di migranti, delle comunità deindustrializzate, delle comunità rurali spopolate, dei poveri, dei lavoratori a basso reddito, delle donne, degli anziani, delle persone con disabilità e dei giovani “.
Potrebbe essere un programma per l’Europa, se i sovranisti e le regioni più ricche dalle nostre parti non pensassero che è meglio sopravvivere da soli.