Un All Star Game val bene una legge. Deve essere stato questo il pensiero che ha attraversato le menti dei parlamentari della Carolina del Nord quando, una manciata di anni fa, si trovarono nella condizione di dover rispondere del proprio operato non solo agli elettori, ma anche a un’associazione privata con sedi sparse in tutto il mondo.
Bathroom bill – Nel marzo 2016, la North Carolina emanò l’House Bill 2. Nessuno sospettava che quel decreto avrebbe condotto alla sostanziale paralisi politica dello Stato per i successivi 12 mesi. Eppure fu così. La norma andava, infatti, a zittire una delibera rilasciata appena un mese prima dell’amministrazione di Charlotte. Smentendo l’ordinanza firmata dalla città, si negava alle persone transgender la possibilità di scegliere di quali servizi igienici usufruire nei luoghi pubblici, obbligandole invece a utilizzare bagni e spogliatoi riservati al sesso riportato sul certificato di nascita. La reazione delle comunità Lgbt non si fece attendere. Accusato di discriminazione, il governatore repubblicano Pat McCrory vide presto scendere in piazza non solo militanti a difesa dell’identità di genere, ma anche una buona fetta del mercato. Colossi come PayPal e Deutsche Bank arrestarono immediatamente i progetti di espansione nello Stato e così fecero molte altre aziende. Parecchie di queste legate al mondo dello sport americano. Ed è qui che entrò in gioco la National basketball association.
Preoccupata per le tensioni riportate da pubblico e sponsor, la Lega cominciò a ventilare l’ipotesi di cancellare l’assegnazione dell’All Star Game 2017 alla città di Charlotte. E a luglio il commissioner Adam Silver batté in ritirata: “Pur sapendo bene che la Nba non può scegliere le leggi di città, Stati e Paesi con i quali intrattiene rapporti di business, non pensiamo però di poter celebrare la festa dell’All Star Weekend a Charlotte visto il clima creato a seguito della HB2”. Il colpo per la città fu tremendo e a goderne fu New Orleans, che si vide recapitare la 66° edizione della manifestazione e il suo generoso indotto. Silver, tuttavia, non volle chiudere le porte alla Carolina del Nord. E si riservò di valutare un’eventuale candidatura per il 2019 qualora si fosse trovato un accordo accettabile sull’ormai celebre “Bathroom bill”. Quello che non poté la politica fece il denaro. Il compromesso fu firmato nel marzo del 2017 e oggi, con due anni di ritardo, Charlotte ritrova il suo All Star Game.
Quanto brillano le stelle – Trentaduemila camere d’albergo già bloccate, oltre 150mila turisti attesi e migliaia di lavoratori a ore assunti per gli incarichi più disparati, dall’accoglienza alla sicurezza. Un impatto stimato sull’economia che si aggira tra i 100 e i 110 milioni di dollari. Charlotte non è certo New York e un evento del genere fa comodo. Insieme ai più forti giocatori del pianeta, infatti, tra il 15 e il 17 febbraio sbarcherà in North Carolina l’intero circus griffato Nba. Una carovana di artisti e volti noti provenienti da tutto il globo e pronta a godersi un fine settimana di sport e spettacolo. La città brulicherà di eventi e alberghi e locali andranno sold out. La polizia è stata allertata, la popolazione avvisata e intere aree sono state interdette al traffico. Michael Jordan – proprietario degli Charlotte Hornets, la franchigia di casa – ha confessato di aspettare questo evento da due anni. Ammettendo che è stato difficile trovare dei biglietti persino per lui.
Al di là delle dichiarazioni di MJ per la stampa, le attese attorno all’ASG 2019 sono davvero alte. E il motivo è assai banale. Il dibattito attorno all’HB2, infatti, ha danneggiato tanto l’immagine quanto le casse dell’intero Stato. Il solo dietrofront di PayPal è costato oltre 400 posti di lavoro. E dozzine di superstar come i Maroon 5 o Bruce Springsteen hanno cancellato i propri spettacoli in North Carolina in sostegno alla causa Lgbt. In questo clima diventa dunque facile capire perché una manifestazione come l’All Star Weekend venga salutata dall’intera regione come la più ghiotta fra le occasioni di riscatto. E anche se c’è già chi si affretta a indossare la divisa del pompiere – tacciando di eccessivo ottimismo le previsioni dell’indotto e sottolineando come solo una porzione di quei soldi resterà effettivamente nella Carolina del Nord -, il lungo week end di basket è una vetrina che lo Stato non può permettersi di non sfruttare.
It’s all about money – Pur lontana dalla potenza di fuoco della Nfl – capace di mettere in fila con il solo Superbowl (che è anche la giornata in cui si mangia di più negli Usa dopo il Ringraziamento) quasi 500 milioni di ricavi – la Nba è una lega in costante espansione. In un mondo come quello americano, dove chi investe nello sport guadagna, il valore medio delle 30 franchigie si aggira attorno a 1,9 miliardi di dollari. Ma ciò che più impressiona sono i dati di crescita di un sistema che ha saputo triplicare i propri ricavi nel giro di soli cinque anni. E che non sembra volersi arrestare. A differenza di tutti gli altri sport a stelle e strisce, infatti, il basket è l’unico che può contare su un respiro davvero globale. Tanto che l’All Star Game sarà trasmesso in diretta in oltre 200 Paesi, catalizzando l’attenzione mediatica attorno a un unico parquet. Con le telecamere di tutto il mondo puntate su di lei, Charlotte intende sfruttare l’occasione per attirare nuovi business nello Stato.
Si parte dunque questa sera con la Rising Star Challenge (vero e proprio showcase per i talenti al primo e al secondo anno in Nba). Sabato, invece, sarà il turno delle gare di abilità: la Skills Challenge, la gara di tiro da 3 punti e quella delle schiacciate. Mentre alla partita delle stelle – che vedrà impegnati i 24 atleti prescelti da tifosi, giornalisti e giocatori stessi – sarà riservato il prime time di domenica sera, quando gli appassionati potranno assistere all’atteso duello fra le squadre capitanate da LeBron James e da Giannis Antetokounmpo. Centomila dollari in palio per i membri del roster vincente, 25mila come mancia per gli sconfitti. Il prezzo medio di un biglietto per lo Spectrum Center, l’arena che ospiterà l’appuntamento, è fissato a circa mille dollari. Questo il programma e questi i numeri dell’All Star Weekend, che torna a far visita a Charlotte dopo 28 anni. Un arco di tempo in cui la Nba si è letteralmente ricostruita. Merito della cosiddetta “Era Jordan” – con l’ex numero 23 dei Chicago Bulls a collezionare anelli e sponsor tra il 1991 e il 1998 – ma anche di una politica aziendale virtuosa. Attenta alle diversity e lungimirante nell’aprirsi al mondo, arrivando a vantare oggi il 28% di atleti stranieri. Campioni, sì, ma anche influencer in grado di spostare capitali da mercati sempre nuovi.
“Ventidue milioni di telespettatori e un miliardo di impressioni sui social solleveranno il profilo di Charlotte non solo per il turismo, ma anche per quanto riguarda lo sviluppo economico”, ha affermato Tom Murray, il Regional Visitors Authority CEO della città. Non stupisce, insomma, che persino uno Stato sia pronto a mettere mano alle proprie norme pur di accaparrarsi un posto sull’assolata spiaggia della National basketball association.