Una scoperta scientifica dovrebbe essere sempre salutata con interesse e compiacimento. Non sembra che questo sia avvenuto per il vaccino “italiano” del team Ensoli dell’Iss, destinato alla terapia dell’Aids, basato sull’anti-Tat, di cui la stampa ha ultimamente dato notizia.
Forse quelli che sono gli aspetti biologici e clinici non sono stati messi adeguatamente in evidenza e a me piacerebbe descriverli in maniera semplice, per quanto possibile, senza scadere in facili entusiasmi, e nemmeno eccedere in ipercriticismo. Cosa è in primo luogo il Tat? Tat è una proteina dell’Hiv che svolge un ruolo chiave nel ciclo di vita del virus e nella patogenesi della malattia. Tat viene prodotto molto precocemente nel corso dell’infezione e viene rilasciato nell’ambiente extracellulare accumulandosi nei tessuti. Riesce a esercitare effetti sia sul virus che sul sistema immunitario.
In particolare, il Tat extracellulare da un lato attiva l’espressione e la replicazione del virus, contribuendo al mantenimento della patologia nonostante il paziente stia praticando una terapia antiretrovirale (cART) efficace. Inoltre, il Tat extracellulare lega insieme le estroflessioni presenti alla superficie dell’involucro dell’Hiv (Env) formando un complesso capace di favorire l’infezione delle cellule dendritiche (DC) e la successiva trasmissione alle cellule T, componenti chiave del reservoir del virus. Questo reservoir costituisce il vero problema della cART e della perdita di efficacia nel tempo. Il virus allo stato di Dna provirale infatti sopravvive allo stato silente nel tessuti linfonodali e può riprendere la replicazione in un qualsiasi momento, dopo aver sviluppato una resistenza alla cART.
Per questo ruolo chiave nella patogenesi dell’infezione il Tat è stato preso in considerazione con lo scopo di sviluppare un vaccino terapeutico che affiancasse la cART e ne rinforzasse l’efficacia. Sebbene infatti la cART abbia cambiato radicalmente la qualità e l’aspettativa di vita degli individui infetti da Hiv, non è in grado di ripristinare completamente il sistema immunitario ed è inefficace sui reservoir virali. Di conseguenza, l’infiammazione cronica e la disregolazione immunitaria indotti da Hiv persistono, generando un rischio molto più elevato di comorbilità e morte rispetto alla popolazione generale, in particolare nei pazienti che iniziano la cART con conta delle cellule T CD4 + molto bassa o che non hanno una compliance ottimale nei riguardi della terapia.
Inoltre, gli effetti cumulativi di tossicità della cART non possono essere evitati mediante periodi strutturati di interruzione terapeutica, infatti, la replicazione virale riprende entro poche settimane dal momento dell’interruzione, a causa della persistenza dei reservoir. Non si trattava pertanto di un vaccino capace di prevenire l’infezione, ma di partecipare al trattamento proponendo una nuova idea terapeutica.
Lo studio è arrivato alla fase seconda (II). Ricordo che gli studi di fase II hanno come obiettivo primario la valutazione della risposta immune indotta dal trattamento pur non trascurando gli aspetti legati alla tollerabilità e sicurezza del prodotto. I risultati allora dimostrano che effettivamente il vaccino anti-Tat promuove l’aumento delle cellule T CD4 e il ritorno all’omeostasi immunitaria riducendo al tempo stesso il reservoir nei pazienti cronicamente trattati con cART.
In altri termini diminuisce il Dna provirale, riducendo il serbatoio di virus allo stato silente; aumenta il numero di CD4, mentre il rapporto CD4/CD8 tende a rinormalizzarsi. Il titolo degli anticorpi anti-Tat rimane elevato anche dopo 8 anni dall’inizio della sperimentazione. Complessivamente i risultati che vengono riportati indicano che le risposte immunitarie determinate dal vaccino antiTat possono compensare le carenze di cART e promuovere il ritorno all’omeostasi immunitaria. Il che probabilmente contribuisce al ripristino di efficaci risposte antivirali che, insieme all’immunità anti-Tat, sono in grado di attaccare i reservoir di Hiv resistente a cART. Gli studi futuri si dovrebbero indirizzare presumibilmente a migliorare ancora la risposta immunologica e quella clinica e a esplorare la possibilità, promossa dalla vaccinazione, di introdurre in condizioni di sicurezza per il paziente delle interruzioni strutturate di cART per ridurre i potenziali effetti tossici delle pesanti prolungate terapie antiretrovirali e ridurre le chances di emersione di ceppi virali resistenti. Tutto bene allora? No, ancora molta strada deve essere percorsa prima di poter licenziare in via definitiva questo prodotto. Ma bisogna essere fiduciosi. Tale modello di vaccino terapeutico potrebbe fungere da apripista anche per patologie che necessitano di trattamenti definitivi, come altre infezioni virali o ad esempio la malaria che tanta parte dell’umanità attende ancora che sia debellata.