Dalla politica ai sindacati, la morte del giovane migrante senegalese nel rogo che ha interessato la tendopoli di San Ferdinando, in Calabria, ha suscitato un moto di indignazione. Al Ba Moussa è infatti la seconda vittima nel giro di due mesi nella baraccopoli calabrese, un inferno che la politica ignora da anni, nonostante rassicurazioni e promesse. “L’ennesima vittima impone a tutti di farla finita con le parole, i progetti simili a chimere, gli impegni che quasi mai si concretizzano: non è più rinviabile un piano straordinario di ripristino delle condizioni di legalità e di tutela della dignità umana”, accusano i sindacati.

Sulla stessa linea Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, che denuncia: “Non si riuscirà a contrastare il fenomeno delle baraccopoli fino a quando non si avrà il coraggio di combattere e sconfiggere il caporalato e lo schiavismo gestiti dalle mafie infiltrate nell’agricoltura. Quei ragazzi non vivono nelle baraccopoli perché è bello, ma perché diversamente non lavorerebbero. Se rifiutassero quel sistema i padroni non li chiamerebbero più nei campi”. “Lo sceriffo d’Italia al ministero dell’Interno annuncia l’ennesimo sgombero: è facile, effetto mediatico assicurato. Soprattutto, non disturba gli interessi più forti: i disperati, dispersi nel territorio, potranno continuare a essere sfruttati”, gli ha fatto eco Stefano Fassina di Leu. Anche il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, ha ribadito al Governo l’urgenza di misure per risolvere la situazione: “Diventa ormai urgente e indispensabile che il Governo assuma con determinazione un progetto di smantellamento della tendopoli e di trasferimento degli immigrati in luoghi più idonei e sicuri, nell’ambito dei programmi di integrazione sociale”.

I sindacati – “In Calabria la popolazione immigrata è rappresentata ormai da oltre 100.000 persone e abbiamo il dovere di agire concretamente con la realizzazione di progetti per l’accoglienza. Ogni volta che accadono simili tragedie si susseguono le promesse di smantellamento dei ghetti, ma il cambiamento non c’è – spiegano il Segretario generale della Fai Cisl nazionale, Onofrio Rota, e il Segretario della Fai Cisl Calabria Michele Sapia -. Vogliamo ricordare che queste persone sono spesso regolari, e rappresentano una parte importante del mondo produttivo agricolo, ma cadono nel dimenticatoio ogni qualvolta finisca una stagione di raccolta. Nessuno dovrebbe vivere in simili condizioni. Serve un’azione concertata con le parti sociali per pianificare progetti di inclusione sociale e accoglienza. Le buone pratiche esistono e vanno incrementate, a cominciare da quanto proposto con il progetto abitativo ‘immigrati fuori dal ghetto’ definito dalle parti sociali proprio per la zona di Gioia Tauro. Quello che serve per agire è una volontà politica condivisa a livello territoriale, regionale e nazionale, altrimenti continueremo soltanto a commemorare nuove vittime”.

Il presidente della Calabria: “Basta con gli interventi rabberciati” – “Come abbiamo avuto modo di sostenere in più occasioni pubbliche e negli incontri in Prefettura di Reggio Calabria – spiega Mario Oliverio – non è più tempo di interventi rabberciati, ma di soluzioni chiare e risolutive. Non è più accettabile continuare in questa situazione. Il Governo e il Ministero degli Interni devono assumere una iniziativa concreta per mettere in atto un progetto che consenta di trovare una soluzione degna di un paese civile, ai migranti regolari di San Ferdinando”.

Il vescovo: “Indegno di un Paese civile” – “Quatto morti sono troppi, non c’è più tempo da perdere, è indegno di un Paese civile”, denuncia il vescovo di Oppido-Mamertina-Palmi, mons. Francesco Milito. “Bisogna agire con la massima urgenza perché la cosiddetta emergenza è diventata sistema. Adesso non c’è più tempo da perdere: quattro morti sono troppi. Il nome di tendopoli poi è persino nobile perché a San Ferdinando c’è ‘cartopoli’, ‘plasticopoli’. E’ indegno che si ospitino i nostri fratelli in queste condizioni . L’unica cosa da fare è intervenire urgentemente, con efficacia”.

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