Dalla mattina fino al primo pomeriggio Gilles e Godfrey servono caffè, brioches e panini ad avvocati, magistrati, uomini e donne delle forze dell’ordine e chi passa per il bar del Palazzo di giustizia. Poi, finita la giornata, tornano a scontare la pena a cui sono stati condannati. Gilles Gomis e Godfrey Ukaegbu sono due dei detenuti ed ex detenuti che ogni giorno si alternano dietro il bancone della “Caffetteria del tribunale”, aperta a novembre a Torino.
A lungo il bar del tribunale era rimasto chiuso. La ditta vincitrice dell’appalto non riusciva a pagare l’affitto al Comune di Torino. Indagando, la Guardia di finanza aveva scoperto che la società non aveva le carte in regola e per questa ragione a giugno comincerà il processo a dieci persone per turbativa d’asta e altri reati. Poi nell’autunno 2017 la sindaca Chiara Appendino, insieme al procuratore generale Francesco Saluzzo e all’allora presidente della Corte d’appello Arturo Soprano, avevano firmato un’intesa per una gara d’appalto riservata alle cooperative sociali finalizzate al reinserimento dei detenuti.
Il bando è stato vinto da un’associazione temporanea di imprese composta da Liberamensa, presieduta da Pietro Parente, e dal Consorzio Abele Lavoro in partenariato con la Cooperativa Pausa Caffé. La prima, Liberamensa, ha un laboratorio di cucina all’interno del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino dove i detenuti possono imparare a cucinare e a fare il pane. In passato gestivano anche un ristorante all’interno della struttura e una panetteria a Torino. Pausa Caffè, invece, fornisce alcuni prodotti: “Noi facciamo il caffè nel carcere di Torino, le birre a Saluzzo e il pane ad Alessandria – spiega Marco Ferrero, presidente della cooperativa – Questo bar è una filiera che comincia negli istituti di pena e termina qui in tribunale offrendo un’occasione di reinserimento”.
“Qui si riesce a vedere quello che in tutti questi anni non si è riuscito a vedere – aggiunge Emilia Luisolo, dipendente di Liberamensa – Non ci sono soltanto i detenuti che vediamo qui, ma anche quelli che in carcere lavorano per preparare i pasti, il pane, il caffè”. “Prima non sapevo fare niente – spiega Gomis, 22enne originario del Gabon – Ero arrivato a Torino lasciando mia madre a Parigi, ho raggiunto degli amici. Non lo sapevo, ma spacciavano e ho cominciato anche io. Sono stato alcuni mesi al carcere minorile, poi sono scappato da una comunità fino a quando sono stato arrestato di nuovo, ma ero maggiorenne”.
In carcere viene subito in contatto con Liberamensa e il vicepresidente, Andrea Bennati, lo prende sotto la sua protezione: “Ho imparato a fare i caffè e a fare i panini. La cooperativa ha fatto tanto per me, gliene sono grato. Mi spiace che molti detenuti non abbiano questa opportunità”. Tra nove mesi tornerà a essere un uomo libero: “Vorrei continuare a lavorare”. Questo è anche il desiderio di Ukaegbu, 44enne nigeriano che sta finendo di scontare una condanna per spaccio ottenuta molti anni fa. “Al carcere di Saluzzo ho cominciato a lavorare nel birrificio. Dopo un anno e sei mesi sapevo fare la birra. Poi mi hanno offerto di trasferirmi a Torino per lavorare qui. Gestisco la sala, scaldo i panini, consiglio le birre”. A lui restano otto mesi per terminare di scontare la pena: “Se il contratto continua vorrei proseguire e lavorare per mantenere la mia famiglia”.
Giovedì nel bar è stata inaugurata una mostra di opere realizzate dai detenuti e ispirate ai reperti del Museo Egizio. In questa occasione le autorità hanno anche dato il loro “benvenuto” al bar riaperto da quattro mesi: “La nostra costituzione afferma che la pena deve arrivare al reinserimento del condannato e il lavoro è una buona occasione”, ha detto il presidente della Corte d’appello Edoardo Barelli Innocenti. “Ho avuto occasione di incontrare i detenuti e le detenute – ha dichiarato la sindaca – Mi colpisce che la cosa che più gli spaventa è la paura di cosa accadrà dopo la pena. La sconfitta nasce quando una persona ha pagato e si sente respinta. Progetti come questi sono fondamentali: se le lasciamo sole perdiamo tutti”. Un grande interrogativo, però, resta sul futuro di molti: “Temiamo che con il dl Salvini i detenuti extracomunitari a fine pena siano espulsi vanificando il loro percorso di reinserimento”, commenta Marco Ressa di Pausa Caffè.