Il conto del dieselgate arriva anche all’Italia. Proprio mentre dietro l’angolo si profilano nuove e più pesanti minacce di dazi americani. L’introduzione delle nuove regole di omologazione delle auto con l’arrivo, dal primo settembre scorso, di una differente e univoca modalità di misurazione di consumi e delle emissioni, ha inferto un brutto colpo all’industria automobilistica tedesca già fiaccata dagli scandali. E, di conseguenza, lo ha assestato anche all’Italia, grande produttore di componentistica auto. I fornitori italiani delle quattro ruote tedesche hanno infatti pagato il conto dello stop dei produttori con l’auto di Berlino che ha registrato tre mesi consecutivi in calo a doppia cifra, come sottolinea il Sole 24 Ore in edicola sabato 16 febbraio. “Uno stop legato in parte alla minore tonicità dei mercati internazionali, ma acuito dalla difficoltà delle aziende nell’adeguarsi in tempi rapidi alle nuove regole di omologazione, impasse che ha frenato l’output di molte fabbriche”, sottolinea il giornale di Confindustria. Ricordando che la Germania tra novembre e gennaio ha costruito “appena” 1,1 milioni di auto, 272mila in meno dell’anno precedente.

“Dati che si sono già riverberati sui nostri componentisti, che segnano un quarto trimestre difficile”, come certificato che anche dai numeri Istat sull’export italiano di dicembre. In base ai quali le esportazioni, nel 2018, hanno dimezzato il loro tasso di crescita rispetto al 2017 e si sono fermate a +3% nei dodici mesi, dal +7,6% dell’anno precedente. Mentre le importazioni, nello stesso periodo, sono aumentate del 5,4 per cento. Il saldo della bilancia commerciale è così sceso sotto la soglia dei 40 miliardi di euro per la prima volta dopo 5 anni, arrestandosi a 38,9 miliardi. Secondo l’Istat, in ogni caso, a fare da argine alle tensioni dei mercati internazionali c’è l’Europa e soprattutto la Francia, dove l’export italiano aumenta del 6,5%. Amati o meno, i “cugini” di Oltralpe rappresentano il 10,3% delle nostre vendite all’estero e, con la Germania, sono il primo Paese per contributo alle esportazioni italiane nel 2018. Una crescita superiore alla media contraddistingue anche le esportazioni negli Stati Uniti (+5%), mentre aumentano a un tasso inferiore le vendite nel Regno Unito (+1%) nell’ultimo anno prima della Brexit. Le difficoltà peggiori riguardano grandi mercati extraeuropei come la Turchia (-13,1%), i Paesi Opec (-7,5%), la Russia (-4,5%) e la Cina (-2,4%).

Tra i mercati di sbocco, l’ultimo mese dell’anno vede una forte contrazione delle vendite in Paesi chiave come gli Stati Uniti (-5,7% su anno) e la Cina (-15,2%). Anche in questo caso, aiuta a limitare i danni il mercato europeo, dove le esportazioni italiane tengono meglio. Le vendite italiane nei mercati Ue aumentano infatti dello 0,5% rispetto a novembre, contrastando il calo dei paesi extraeuropei (-5,6%), e su base annua diminuiscono dello 0,3%, mentre i mercati extra Ue perdono il 5,1%. Nonostante il calo di dicembre, l’ultimo trimestre del 2018 chiude con un aumento delle esportazioni italiane dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti, quando la crescita era stata solo dello 0,2%. Le importazioni crescono invece dello 0,6%. Quanto al futuro, secondo l’imprenditore piemontese della componentistica e presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, il 2019 è in ripresa. “Credo che si tratti di uno stop temporaneo – ha detto al Sole 24 Ore a proposito della situazione dell’industria auto tedesca – gennaio e febbraio ad esempio sono andati decisamente meglio. Passata la bufera, penso che le nuove soluzioni tecnologiche torneranno a dare stabilità al settore”. Anche perché “guardando ad altri settori tedeschi, ad esempio alle costruzioni, vedo numeri ancora positivi, che non danno il senso di un’economia al palo. In prospettiva, ciò che mi preoccupa maggiormente è invece la possibile escalation della guerra commerciale“.

Un tema non fa certo dormire sonni tranquilli a Berlino. Sabato 16 febbraio Angela Merkel, nel suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha detto che è “spaventoso” e incomprensibile che gli Stati Uniti possano considerare le automobili europee importate come una minaccia per la loro sicurezza nazionale e quindi introdurre dazi, una misura che aggraverà ancora di più le tensioni fra i due blocchi, ha affermato. “Non posso che sottolineare che sarebbe positivo avviare negoziati reali“, ha aggiunto il Cancelliere tedesco, ricordando che le compagnie europee producono molto in America, a partire dal maggior impianto di assemblamento del mondo operato dalla Bmw nella Carolina del Sud. “Non in Baviera, ma nella Carolina del Sud”, ha sottolineato. “Siamo orgogliosi delle nostre auto, e abbiamo diritto di esserlo”, ha affermato inoltre.  Del resto le esportazioni di auto e componenti di auto europee negli Stati Uniti valgono 56 miliardi di euro l’anno (dati della Commissione Ue). Il dipartimento del Commercio Usa deciderà se le importazioni di auto e di componenti automobilistiche colpiscono la sicurezza nazionale entro domenica. In caso di conclusione positiva, il presidente Donald Trump può introdurre, entro 90 giorni, delle tariffe speciali (si parla del 25 per cento), cioè appunto i dazi.

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