Dopo quasi quattro anni di lavorazione, insomma, La bella addormentata nel bosco stava mettendo in ginocchio la casa di produzione. “Non credo che possiamo continuare, è troppo costoso” confessò Disney a Larson. Si decise dunque di accorciare i tempi ripescando intere sequenze dai lavori precedenti. Specie da Biancaneve, da cui furono saccheggiate le scene della casa nel bosco, riprese a piene mani per l’alloggio in cui le Fauna, Flora e Serenella nascondono Aurora. La colonna sonora, invece, ricalcò l’ispirato balletto che Pyotr Ilyich Tchaikovsky aveva ricamato quasi un secolo prima proprio sull’ormai odiata fiaba.
Un flop, anzi no – Il 29 gennaio 1959, dopo quasi dieci anni di gestazione, il film fece il suo esordio nelle sale americane. E fu un flop. Il pubblico, a dir la verità, lo applaudì. Ma, con soli 7,7 milioni di dollari al botteghino, la pellicola riuscì appena a coprire i 6 milioni impiegati per la sua produzione. Una spesa folle, che aveva quasi paralizzato lo studio, mettendolo in ginocchio e allarmandolo sull’effettiva sostenibilità dell’animazione. Il tepore con cui la critica accolse il titolo, poi, fece il resto. A livello visivo il 16esimo Classico disorientava uno spettatore ormai educato alle linee familiari di casa Topolino. Quanto ai personaggi, invece, Aurora e compagnia venivano tacciati di scarsa profondità.
La Disney era sull’orlo della bancarotta. “Mai più principesse”, si disse. “Mai più cartoni”, si pensò. L’animo di Walt era ancora innamorato di quel mondo, ma un simile dispendio di soldi ed energie era una follia per chiunque. Per continuare occorreva una svolta, eppure ogni tentativo si era risolto in un fallimento. Proprio nel 1959, ad esempio, lo storico collaboratore disneyano Ub Iwerks si era presentato nella sede di Burbank con uno strano aggeggio. Si trattava di una stampante Xerox, modificata per poter trasferire i disegni direttamente sull’acetato, conservando la leggerezza degli elementi a matita e risparmiando diversi passaggi. Il nuovo processo avrebbe abbattuto tempi e costi di produzione, certo, ma quanto a risultati… lasciava parecchio a desiderare. Dimenticatevi i colori degli sfondi di Earle. I contorni, poi, erano solchi neri che sembravano trasferelli. La sua unica utilità risiedeva nell’efficacia con cui si riusciva a ottenere un effetto maculato. Persino su figure in movimento. Ed è qui, che arrivò l’idea.
Principi e principesse, maghi e streghette non interessavano più agli spettatori (di fatti non si toccherà una principessa fino al 1991, con La Sirenetta). Finito il tempo delle favole, occorrevano storie diverse, vive, contemporanee. Magari con dei dalmata, così da sfruttare il marchingegno di Iwerks. La carica dei 101 (1961) segna così uno scarto netto rispetto ai suoi predecessori. L’immagine è meno delicata e armoniosa, il dettaglio completamente perso. Eppure, fu grazie a questa rinuncia estetica che la Disney poté tornare a splendere. Il creatore di Mickey Mouse provò sempre un certo rammarico per quel film del 1959, tanto bello quanto maledetto. E allora chissà cosa direbbe oggi, sapendo di come la critica l’ha rivalutato, lodandone proprio i toni cupi, la magnificenza dei disegni e l’armonia dell’animazione. Celebrando la complessità di un carattere come Malefica, che ha avuto persino un film tutto per sé. Ritrovando la scena del ballo tra le nuvole, che lui aveva richiesto e tanto amava, ne La bella e la bestia (1991), ma anche ne La principessa e il ranocchio (2009). Chissà cosa direbbe oggi, insomma, sapendo che quel film è ancora tra i più amati.