Stesi per terra sull’asfalto di piazzale Loreto, uno dei nodi più trafficati di Milano. Immobili e coperti con dei teli bianchi. Così, durante il corteo di sabato 16 febbraio, i manifestanti contrari all’apertura del centro per il rimpatrio dei migranti di via Corelli hanno voluto rappresentare il Mediterraneo: un mare diventato «cimitero d’Europa» per colpa di politiche sbagliate. La manifestazione è stata organizzata dalla rete “Mai più lager – No ai Cpr” ed è stata anticipata, venerdì pomeriggio, da un blitz lampo alla sede milanese del ministero dei Trasporti: una quarantina di persone è entrata nell’edificio e dalle finestre dei centralissimi uffici sono comparsi gli striscioni “il patto di governo è razzismo di Stato”.
Una serie di azioni, cominciata con la mobilitazione del primo dicembre, che contesta la riapertura della struttura di detenzione, annunciata lo scorso luglio dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’inaugurazione ad ora è prevista per l’estate: nel complesso all’estrema periferia est della città, fino a dicembre adibito a centro d’accoglienza, confluiranno tutti gli stranieri irregolari della Lombardia in attesa di espulsione.
Cos’è il centro di via Corelli. Per via Corelli la svolta imposta dal Viminale è un ritorno al passato. Prima inquadrata come Cpt, Centro di permanenza temporanea, e poi come Cie, Centro di identificazione ed espulsione, la struttura è nata nel 1998 proprio come centro di detenzione amministrativa per migranti irregolari. Una sequela di rivolte, incendi e danneggiamenti ha convinto nel 2014 la giunta di Giuliano Pisapia a trasformarlo in centro d’accoglienza per richiedenti asilo.
Ora si ritorna alle origini. Secondo il vicepremier leghista, che punta molto sui rimpatri degli stranieri a cui viene negata la protezione, le attuali strutture – 6 per un totale di 880 posti – non sono più sufficienti. Anche perché lo stesso pacchetto di norme prevede che gli ospiti possano rimanervi non più fino a 90 giorni ma fino a 180, per assicurarsi che l’espulsione effettivamente avvenga. E così il 15 dicembre scorso via Corelli, nella sua vecchia versione, ha chiuso i battenti: le centinaia di stranieri che ci vivevano sono state smistate altrove e sono iniziati i lavori di “fortificazione” dello stabile. Sullo stato di avanzamento il Comune dice di non essere informato, ma dalla Prefettura fanno sapere che il cantiere prosegue senza intoppi e che la consegna avverrà a giugno.
Cosa cambia. Qualche dettaglio su come sarà organizzato il Cpr milanese lo si può ricavare dal bando di gara del valore di quasi 4 milioni di euro per la gestione del centro, pubblicato pochi giorni fa sul sito della Prefettura. La capienza sarà di 140 persone, la cui spesa pro capite è fissata a 32,15 euro al giorno. La cifra comprende pasti, igiene e un pocket money da 2,50 euro, oltre al kit vestiario di primo ingresso (150 euro) e a una scheda telefonica da 5 euro una tantum. I migranti detenuti nel centro saranno affiancati – si legge nel bando – da mediatori linguistico-culturali, che li informeranno anche sulla normativa in vigore, e da assistenti sociali. Ai minori saranno garantite ulteriori «misure di prevenzione e di tutela», nonché «l’inserimento scolastico con le relative attività didattiche e organizzazione del tempo libero”.
Non solo Milano. Quello di Milano non sarà l’unico Cpr ad aprire nei prossimi mesi. Il titolare del Viminale ne ha annunciati altri tre, per un totale di 400 nuovi posti: quello di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), quello di Modena e quello di Macomer (Nuoro). Per tutti e quattro il taglio del nastro è stato posticipato dall’inizio del 2019 all’estate per ritardi nei lavori o negli adempimenti burocratici. A Macomer, ad esempio, la gara d’appalto per chi gestirà la struttura – un ex carcere – è stata revocata e si è in attesa di quella nuova. A Gradisca d’Isonzo, invece, il questore ha assicurato pochi giorni fa al quotidiano locale Il Piccolo che il centro sarà pronto entro l’estate e che contestualmente arriveranno nuove forze di polizia.