“Quindi i candidati segretario del Pd erano tutti nello stesso studio televisivo ma non si è fatto il confronto perché uno non ha accettato?”. Il quesito posto su Twitter da Debora Serracchiani è lecito: Maurizio Martina, Nicola Zingaretti e Roberto Giachetti sono apparsi davanti alle telecamere di In mezz’ora in più, su Rai Tre, ma sono stati intervistati separatamente.
“Io sono giachettiano e assolutamente fedele al progetto avviato da Renzi“, si è presentato l’ex radicale passato ai dem via Margherita che nel 2016 ha corso per la carica di sindaco di Roma. “Renzi – spiega – è l’ossessione e l’alibi per molti. Sta facendo opposizione e propone delle idee per la politica e penso sia importante. Con Renzi dobbiamo fare i conti; ha detto che per fortuna rimane nel Pd. Penso che ci resterà: lo ha detto in modo ineccepibile. Io non sono in una caserma ma in una comunità politica. Se il partito va da in’altra parte non resto a destabilizzare la leadership democraticamente scelta”. Di qui il giudizio su chi all’ex segretario si è opposto all’interno del partito. A che a chi gli domanda cosa intenda salvare del ‘Pantheon’ dei dem, Giachetti risponde: “Se si parla di Veltroni ok. Se si parla di D’Alema e degli altri scappati di casa, allora è meglio che vadano dove sono andati”. “Io sono del Pd a vocazione maggioritaria lanciato da Veltroni. La vocazione maggioritaria si raggiunge con la vocazione politica. Io voglio parlare agli elettori del M5S“, conclude.
Maurizio Martina vira sui temi e si produce in una serie di mea culpa: “Penso che abbiamo lavorato bene quando abbiamo recuperato il Paese sul fronte della crescita, tuttavia quella crescita l’abbiamo distribuita male: questo è stato un problema cruciale”. “La questione sociale è stato il nostro tallone d’Achille – ha aggiunto – sono orgoglioso del lavoro fatto, ma inquieto per quello che non abbiamo fatto”. “Nella lotta alla povertà, il reddito d’inclusione l’abbiamo fatto tardi. Dovevamo essere più radicali con alcuni interventi: avremmo dovuto fare il salario minimo reale“. “Per quanto riguarda il nostro interno dico solo due regolette: un partito si guida, non si comanda. Ci sono maggioranze e minoranze, non maggioranze e opposizioni”, ha spiegato l’ex ministro dell’Agricoltura in quella che suona come una critica alla leadership di Renzi. “Serve – ha concluso – pluralità del pensiero e dei contenuti in grado di fare sintesi e fare unità”. Di qui la proposta: “I miei avversari non sono Zingaretti e Giachetti, ma Salvini e Di Maio: se vinco proporrò una segreteria unitaria. L’unità delle nostre forze non è retorica, ma una necessità di fronte a questa destra”.
Nicola Zingaretti guarda al futuro: il presidente della Regione Lazio intende convocare gli Stati generali del Pd per “discutere sui tre pilastri di una nuova Italia: lavoro, ambiente e scuola“. Perché “è sbagliato ridurre il Pd ad una sola funzione di denuncia di quello che non va. Dobbiamo condannare quello che non va ma dobbiamo anche capire come siamo in grado a dare ai problemi della gente risposte più credibili di chi ha vinto le elezioni e che si rivela incapace di risolvere i problemi. Ammettere di aver fatto errori non è buttare la spugna, ma mettere in campo un’altra ipotesi”.