“Avevamo messo a disposizione 133 posti nei progetti Sprar. Hanno aderito solo in otto (otto!) e anche gli altri immigrati, che potevano accedere ai Cara e ai Cas, hanno preferito rimanere nella baraccopoli. Basta abusi e illegalità”. E’ il post con cui Matteo Salvini ha commentato su Twitter e Facebook il rogo scoppiato nella baraccopoli di San Ferdinando, che ha ucciso il 28enne senegalese Al Ba Moussa.

Dalle parole del ministro dell’Interno sembra che i migranti si concedano il lusso di rifiutare un posto “offerto” in qualche Sprar e preferiscano vivere, senz’acqua né luce, all’interno del ghetto che si trova alle spalle del porto di Gioia Tauro. La realtà però è diversa. A partire dai numeri. Dopo il fallimento di un protocollo di intesa firmato nel 2016 e non rispettato dai Comuni che dovevano organizzare i progetti di accoglienza diffusa, sono settimane che dal cilindro della prefettura di Reggio Calabria è uscita l’ipotesi che le condizioni disumane, in cui i migranti vivono nella baraccopoli di San Ferdinando, possono essere superate con il trasferimento dei lavoratori stagionali nei centri di accoglienza gestiti dal Servizio centrale del Sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo.

Ora, se anche tutti i “133 posti nei progetti Sprar” messi a disposizione dal ministero dell’Interno fossero stati accettati dai migranti stagionali, il problema della baraccopoli di San Ferdinando non si sarebbe risolto. In quell’inferno, infatti, nel periodo della raccolta delle arance ci sono circa 2mila lavoratori africani e, nella migliore delle ipotesi, sarebbero rimasti quasi 1900 migranti che il ministro Salvini non ha spiegato dove sarebbero dovuti andare. Risultato: ghetto era e ghetto sarebbe rimasto.

Ma dove sono i “133 posti nei progetti Sprar” offerti ai migranti stagionali che raccolgono le arance nella Piana di Gioia Tauro? Lo spiega il sindacalista dell’Usb Peppe Marra, che segue da anni le vicende di San Ferdinando: “La disponibilità era non solo in Calabria ma anche fuori dalla Calabria. Oggi (ieri, ndr) 10 migranti sono stati trasferiti a Gioiosa Jonica, a 50 chilometri di distanza. Come fanno a lavorare se sono lontani dalla Piana di Gioia Tauro?”. È impensabile, infatti, che un migrante impegnato per la stagione della raccolta nelle campagne di Rosarno possa vivere nella Locride e la mattina all’alba essere già negli agrumeti a lavorare.

“Queste sono persone che cercano lavoro e molti di loro hanno già fatto il percorso dello Sprar. Che li mandi a fare lì? Per stare bene due o tre mesi? – si domanda Marra – Qui c’è gente che da anni si trova in Italia. Molti di loro lavorano e pagano i contributi. Che senso ha mandarli in uno Sprar per parcheggiarli alcuni mesi? È chiaro che poi non ci vogliono stare appena capiscono qual è la situazione. Loro vogliono lavorare. Negli Sprar puoi fare tre mesi di borsa lavoro (e non è neanche sicuro) ma è una cosa temporanea”.

“Se una persona non conosce i termini della questione, – conclude il sindacalista – dal tweet di Salvini può sembrare che la prefettura gli ha offerto la soluzione e i migranti sono talmente cretini da rifiutare. E invece non è una soluzione ma una proposta per prendere tempo. Loro sono già passati dai circuiti dello Sprar, sanno cosa significa e preferiscono stare qui e cercare un lavoro. Adesso al ministero dell’Interno vanno bene gli Sprar e quando li chiuderanno il problema si ricreerà”.

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