Festeggiare il compleanno parlando dell’efferato serial killer Jack e, naturalmente, del suo “creatore” Lars von Trier. E’ quanto sta accadendo a Matt Dillon, 55 anni oggi, giunto a Roma per accompagnare l’uscita italiana di La casa di Jack (The House that Jack Built) prevista in 120 sale dal 28 febbraio dopo la controversa presentazione fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes. “Dubbi ne ho avuti tanti prima di accettare il ruolo, e anche dopo, benché Lars mi avesse assicurato si sarebbe assunto ogni responsabilità rispetto al personaggio”, ha ammesso l’attore americano.
Da protagonista assoluto nei panni di Jack, uno psicopatico artista fallito che compie una serie di orribili omicidi organizzandoli meticolosamente, Matt Dillon ha portato al cinema il suo ruolo più difficile, almeno dal proprio punto di vista. E questo “perché mi trovavo ad affrontare un individuo che ero naturalmente portato a giudicare moralmente, mentre è chiaro che un attore dovrebbe accostarsi ai personaggi senza giudizio. Più volte mi sono chiesto come avrei fatto, arrivando quasi a fare marcia indietro e chiamare Lars per dirgli che non me la sentivo. La mia principale paura era di rifiutarmi di vedere me stesso come Jack”. Poi il coraggio a Dillon è arrivato, supportato dall’attrazione di lavorare con Lars von Trier, “del quale molti amici e colleghi mi hanno raccontato esperienze indimenticabili”. Dunque per affrontarlo, l’ex “giovane guerriero” (dal film d’esordio Giovani guerrieri del 1979) si è armato di fiducia nel suo talentuoso filmmaker e preparato con un’operazione psico-matematica: “Ho dovuto lavorare per addizione attraverso la sottrazione, nel senso di levare il più possibile me stesso, ho dovuto spegnere la mia coscienza perché la caratteristica di Jack è proprio di esser nato privo di coscienza, da cui il fallimento come artista”.
E lavorare con von Trier? “Magnifico. Lars non ti fa provare, ti fa ‘stare nel momento’ sempre, e ti accompagna per mano in questo inferno, nel nostro caso anche fisico. In testa dovevo tenere viva la conversazione fra Virgilio e Jack che funge da cornice ai crimini – narrati – già compiuti dall’uomo. Lars mi diceva anche di tenere sempre le cose ‘incasinate’ con un vocabolo divertente in danese che era diventata la nostra parola”.
Citando Virgilio è impossibile non commuoversi. Quel ruolo, infatti, è incarnato dal compianto Bruno Ganz e corrisponde all’ultima interpretazione dell’immenso attore svizzero. “Sono molto triste per la sua morte, e mi ritengo fortunato di aver lavorato con lui che considero un grande attore: sono un suo fan da quando avevo 17 anni. Io sono entrato nel film prima di Bruno, e un bel giorno mi appare sul cellulare un messaggio di Lars con una foto: era un ritratto di Ganz con sotto l’entusiastica didascalia di von Trier, ‘Virgilio!’”. “Bruno ha visto il film prima di me – ricorda ancora Matt Dillon – perché io avevo paura di vederlo. Lui invece aveva accettato di andare in Danimarca e vederlo con Lars. Dopo qualche giorno gli ho telefonato per chiedergli come gli era parso. Bruno mi ha detto ‘ho amato il film, è bellissimo e tu sarai orgoglioso della tua performance!’. A quel punto mi sono tranquillizzato e quando alla fine ho visto il film l’ho amato anche io. L’elemento divertente di tutto questo è che quando Lars ha capito che apprezzavamo il film ne fu scioccato, e inevitabilmente tentato di cambiarlo perché sappiamo tutti che von Trier ama essere contro il parere altrui!”.
Il personaggio di Jack e il suo viaggio infernale certamente hanno a che fare con le ossessioni (anche religiose) di Lars von Trier. “Quando gli ho chiesto perché voleva fare questo film, lui mi ha risposto che Jack era il personaggio più simile a lui ad eccezione che lui non è un assassino!” chiosa Dillon divertito e continua “Ma è meglio se fate direttamente a lui queste domande..”.
La casa di Jack è uscito negli Stati Uniti in varie versioni, alcune visibilmente ridotte dalla censura. In Italia il visto censura è ancora atteso e tuttora non si sa quale versione sarà visibile nelle sale. “Vi assicuro che in tv ho visto –per caso – cose molto più orripilanti di questo film di Lars”, è la dichiarazione conclusiva di un Matt Dillon certamente felice di aver vinto una sfida personale e professionale così impegnativa.