Come antipasti, abbiamo delle gustose mozzarelle alla soda e perossido di benzoile e delle frittelle di bianchetto vietato. Poi, potremmo proseguire con un ottimo riso Birmania frutto di genocidio. Quindi, si potrebbe passare ai secondi, dove ci sono i piatti forti della casa: lifting di pesce con cafados e carne da macelli clandestini. Di gran pregio anche la frutta, in cui fanno la parte del leone le note nocciole turche e le banane dell’Ecuador, entrambe ottenute con sfruttamento di lavoro minorile. Impreziosiscono, infine, il pasto luculliano olio extravergine purissimo colorato con clorofilla e pane cotto in forni clandestini che vanno a legna tossica. Il tutto innaffiato da un rosso Docg, adulterato con lo zucchero.
È il menu da gourmet che Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare hanno presentato giovedì 14 febbraio a Roma, insieme al sesto Rapporto “Agromafie”, sui crimini agroalimentari in Italia.
La carrellata di leccornie sopra ricordata, peraltro, con grande probabilità rappresenta solo un piccolo esempio della sterminata produzione e consumo di cibo criminale in questo Paese. Come attesta il valore di mercato di quel menu: 24,5 miliardi di euro. Questo il volume d’affari complessivo delle agromafie; uno dei pochissimi settori economici vaccinati contro qualsiasi germe di crisi, tanto da registrare un balzo in avanti addirittura del 12,4% rispetto all’ultimo anno.
Sono ormai quasi tre anni e mezzo che la Commissione “Caselli” ha presentato il suo progetto di riforma dei reati agroalimentari all’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando. È (o era?) un articolato normativo di grande respiro, su alcuni punti del quale, forse, si potrebbe effettuare un labor limae. Ma è indubitabile che la sua approvazione, nel complesso, segnerebbe (o avrebbe segnato?) un salto di qualità nella repressione di un fenomeno criminale così pervasivo e devastante come quello in questione. Anche e soprattutto verso la salute pubblica.
Prevede (o prevedeva?) da un lato, una razionalizzazione di un sistema normativo complesso – se non intricato, come quello della materia agroalimentare – attraverso una ricostruzione delle fonti esistenti e una loro semplificazione; dall’altro, una modernizzazione e un adeguamento dell’uso della “leva penale”, calibrato sulla nuova tavola di beni giuridici della “società del rischio” – quella del terzo millennio – che richiedono strumenti di difesa diversificati e innovativi.
Alti obiettivi, perseguiti dal progetto in questione con la costruzione di un corpus normativo riformatore che spazia dalla costruzione di nuovi reati di pericolo, a “soglia di punibilità” estremamente avanzata, alla valorizzazione del principio di precauzione, in un’ottica di tutela della salute pubblica da offese di medio-lungo termine (le più micidiali, com’è noto). Dall’affinamento del sistema sanzionatorio delle frodi alimentari alla creazione dell’emblematica figura di “disastro sanitario”. Dall’allargamento della responsabilità da reato delle aziende anche a questo tipo di crimini alla previsione di cause di non punibilità per i fatti più lievi, subordinata alla realizzazione di successive, concrete condotte riparatorie da parte degli stessi autori. Dall’introduzione del significativo reato di “agropirateria” a quella di una specifica tutela penale del biologico, a mezzo di un’apposita aggravante al reato di frode in commercio.
Insomma, questo testo legislativo chiudeva il cerchio della difesa della salute dalle sue principali fonti di aggressione ambientale in senso lato, dopo l’approvazione della legge sugli ecoreati nel maggio del 2015. Giacché oggi, per molti versi, in materia di tutela penale dell’alimentazione – e quindi della salute – la situazione non è molto dissimile da quella esistente fino a meno di quattro anni fa in ambito di tutela penale dell’ambiente, e si può riassumere in tre parole: deficit severo di deterrenza.
Con le conseguenze che ricordava il 14 febbraio il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: “La prima necessità è quella di aggiornare e potenziare l’attuale normativa in materia agroalimentare. Quella vigente è obsoleta e controproducente. Invece di svolgere una funzione deterrente, spinge a delinquere, essendo a tutto favore dei benefici (ingenti guadagni) il raffronto con i rischi (sanzioni per irregolarità)”.
Quando ci sono di mezzo rischi di questo livello contro la salute e la vita di uomini, donne e soprattutto bambini, invocare una seria funzione deterrente del diritto penale non è esercizio di stile dell’esecrato “giustizialismo”. È richiesta di tutela, altrettanto seria, della salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, com’è dato leggere in una nobile, ma troppo spesso violata, “Carta”. È una forma di prevenzione primaria.