Perché il ministro dell’Interno Matteo Salvini da un anno promette “legalità” ma non ha ancora mandato a San Ferdinando le proverbiali ruspe, mentre a gennaio ha inviato a sorpresa le camionette a Castelnuovo di Porto e in pochi giorni ha smantellato il Cara in favore di telecamere? Come aveva fatto a novembre con il presidio Baobab al Tiburtino? Perché non gli conviene. Perché risolvere la situazione di quell’inferno che è la baraccopoli di Rosarno significa perdere voti nella Regione che lo ha eletto senatore.
Facciamo due conti. Solo nella Piana di Gioia Tauro, provincia di Reggio Calabria, hanno sede 5.200 aziende agricole che lavorano nel settore agrumicolo, le quali – secondo l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – mettono sul mercato oltre 200mila tonnellate di arance l’anno (la metà di quelle prodotte in tutta la Regione) e oltre 50mila di clementine, il 50% dell’intera produzione nazionale.
In tutta la provincia di Reggio Calabria, solo 10 (dieci) imprese agricole risultano iscritte alla Rete del Lavoro agricolo di qualità, cioè il registro cui possono iscriversi le aziende che “si distinguono per il rispetto delle norme in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, come recita la definizione presente sul sito dell’Inps, sotto la cui egida è posta la cabina di regia. Sono cioè imprese che fanno regolari contratti di lavoro, pagano in base alle tabelle ufficiali e fanno lavorare i loro dipendenti solo per le ore consentite. Quante di queste hanno sede nella Piana? A quanto risulta a IlFattoQuotidiano.it, solo 2. Due.
Chi lavora nelle aziende agricole della Piana? Secondo la Cgil sono circa 4mila i braccianti stagionali che nel corso dell’anno transitano nell’area. E vive tra San Ferdinando e Rosarno almeno il 60% dei 3.500 lavoratori stranieri censiti dalla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani che ha girato incessantemente la zona dal dicembre 2017 all’aprile 2018, si legge nel rapporto “I dannati della terra” pubblicato dall’organizzazione nel maggio scorso.
È gente pagata a cottimo (“0,50 centesimi per ogni cassetta di arance, 1 euro per i mandarini”) o a giornata: “Poco più del 90% percepisce tra i 25 ed i 30 euro al giorno, il 7,17% ha un guadagno compreso tra 30 e 40 euro e il 2% riceve addirittura meno di 25 euro. In tutti i casi si tratta di una retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dai contratti provinciali e nazionali di lavoro”. In due parole: è sfruttata.
Ora, la Lega – che in Calabria ha conquistato 52mila voti – a Rosarno, 6.5 km da San Ferdinando e capitale del distretto degli agrumi, ha preso il 13%. Ha interesse Salvini a rompere il giocattolo che consente ai produttori locali di arance, mandarini e kiwi di disporre di manodopera flessibile e a basso costo? È una domanda retorica e la risposta è ovvia: no (come non lo avevano i suoi predecessori del Pd: Marco Minniti è di Reggio Calabria e nella legislatura in cui è stato ministro era stato eletto nella sua regione). Soprattutto perché la corrispondenza di amorosi sensi tra il Carroccio e gli agricoltori prosegue da tempo e ormai si è consolidata.
Guai, ad esempio, a sollevare dubbi sui loro metodi: “Non permetto che l’agricoltura italiana venga etichettata come fuorilegge perché pochi decidono di arricchirsi con illegalità – sentenziava il ministro dell’Interno l’8 agosto 2018 a Foggia, a poche ore dai due incidenti stradali in cui avevano perso la vita 16 braccianti stranieri portando alla luce per l’ennesima volta la tragica realtà dello sfruttamento – questo è un problema di mafia, non di manodopera in nero e di caporalato”. Tradotto: la colpa non è degli agricoltori, intesi?
E il corteggiamento prosegue anche a livello nazionale. Non piace la legge sul caporalato fatta dal Pd? Il ministro Centinaio e lo stesso Salvini annunciano modifiche. L’Ue pensa di tagliare i fondi all’agricoltura? “Questo governo si impegna a non approvare alcun bilancio europeo se toglierà anche un solo centesimo all’agricoltura italiana”, promette il vicepremier il 23 novembre in Sardegna.
Lusinghe che sono valse al Carroccio l’abbraccio del popolo gialloverde, nel senso di Coldiretti – un milione e seicentomila iscritti – passata con disinvoltura e pragmatismo dall’appoggiare il Pd a sbracciarsi in piazza per il “capitano” leghista. “Il nostro compito è indirizzare i governi per difendere i nostri diritti, qualsiasi sia il colore politico”, spiegava il 6 ottobre al Circo Massimo, a Roma, il presidente Roberto Moncalvo mentre i vertici della Lega si godevano il bagno di folla. E “l’inizio di Salvini è incoraggiante”.
Nessun collegamento diretto tra la Coldiretti e il caporalato, s’intende, ma il contesto è chiaro. Gli agricoltori non si toccano. Bene allora gli impegni e le promesse di legalità, che sono a costo zero e fanno guadagnare voti. Meno bene gli atti concreti, quelli che ne fanno perdere. Che infatti a San Ferdinando non si sono ancora visti. Ora Salvini rilancia: “Abbiamo ereditato la baraccopoli a San Ferdinando: entro il 2019 non ci sarà più”. Vedremo se il terzo morto in un anno lo convincerà ad agire, tutelando i diritti dei braccianti che vivono tra quelle lamiere, per il 90% in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Ce lo auguriamo.