Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre avevano dato alle fiamme un manichino con la scritta “così devono morire i pentiti abbruciati”. Il video diventò virale. Coinvolti anche due minori: il fascicolo è all’attenzione della procura minorile
Il falò della notte dell’Immacolata al rione Savorito di Castellammare di Stabia, il manichino in fiamme con un cappello delle forze dell’ordine sopra una catasta di legno di 8 metri e la scritta “così devono morire i pentiti abbruciati”, fu una istigazione a delinquere aggravata dal metodo camorristico. È questo il reato per il quale il Gip di Napoli ha disposto il divieto di dimora in Campania per tre dei stabiesi che si arrampicarono sui legni per appiccare il fuoco: sono Francesco Imparato, Antonio Artuso e Fabio Amendola, hanno rispettivamente 24, 18 e 31 anni, e hanno indicato come residenza della misura cautelare luoghi tra la Lombardia e il Lazio. Per altri due minorenni il fascicolo è all’attenzione della procura minorile.
Le indagini condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata e della stazione di Castellammare di Stabia, e del commissariato di polizia stabiese, coordinate dal pm della Dda Giuseppe Cimmarotta e dall’aggiunto Giuseppe Borrelli, hanno stabilito “con certezza” che il reato fu commesso da Francesco Imparato e dalle altre persone individuate successivamente. Francesco Imparato è il figlio di ‘zi Peppe’ Michele Imparato, pluripregiudicato e fratello di Salvatore Imparato, i due sono stati condannati a 9 e 11 anni di reclusione e sono esponenti di spicco di una ‘famiglia’, i ‘Paglialoni’, che storicamente controlla il mercato dello spaccio di droga al rione Savorito. Un quartiere la cui economia, scrive la Procura “si regge in gran parte sul traffico illecito di stupefacenti”. Il pm aveva chiesto il carcere per i tre indagati maggiorenni. Il gip ha optato per una misura meno afflittiva.
L’episodio nella notte tra il 7 e l’8 dicembre ebbe una eco vastissima. Il video del falò fu postato sul profilo Facebook di una signora, E. G., e divenne virale. Si ascoltavano le grida di incitamento e gli applausi degli spettatori. Tutto avvenne pochissimi giorni dopo gli arresti di alcuni esponenti dei clan tra Castellammare e i Monti Lattari, e di un potente imprenditore stabiese, Adolfo Greco, con accuse di estorsione aggravata. Tra gli arrestati c’era anche Teresa Martone, moglie del boss scomparso Michele D’Alessandro, il “fondatore” del clan. La misura si fondava anche sulle dichiarazioni di due pentiti, Salvatore Belviso e Renato Cavaliere.
Quindi “appare verosimile – sostiene il pm – la chiave di lettura prospettata dalla polizia giudiziaria che ha letto nell’esibizione dello striscione e nel successivo incendio del manichino di pezza appeso alla catasta di legno non solo come una solidarietà degli appartenenti al rione Savorito ai D’Alessandro, ma anche una gravissima minaccia in danno dei collaboratori di giustizia”. Peraltro i ‘Paglianoni’ sono ritenuti fiancheggiatori dei D’Alessandro. Circostanza rafforzata dalle dichiarazioni di altri due pentiti, Vincenzo Polito e Valentino Marrazzo. I due hanno messo a verbale che Vincenzo D’Alessandro aveva riferito “che l’unica piazza di spaccio che doveva operare a Castellammare era quella del Savorito, perché gli Imparato erano degli amici fedelissimi e avevano sempre pensato alla famiglia D’Alessandro” e “tutte le piazze di spaccio a Castellammare devono consegnare una quota ai D’Alessandro”.