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Karl Lagerfeld è morto a 85 anni: stilista e icona pop, fu l’unico designer a lavorare in contemporanea per tre griffe. La sua eredità? Andrà alla gatta Choupette

Adieu Karl, te ne sei andato proprio a poche ore dall’inizio del calendario della Milano Fashion Week

di Ilaria Mauri

Disegno come respiro. Non chiedi di respirare, accade e basta. E se non riuscissi a respirare, sarei nei guai”. Così diceva quell’eclettico visionario che è stato Karl Lagerfeld. Stilista, fotografo, illustratore, artista, designer, icona pop e fashion superstar, Lagerfeld era tutto questo e molto di più. “L’imperatore” della moda, come era soprannominato, si è spento a Parigi all’età (presunta) di 85 anni. Sì, perché uno come lui poteva permettersi anche di non rivelare la sua vera età, prendendosi gioco dei giornalisti che si affannavano a scoprire la sua data di nascita esatta. Austero e sempre impeccabile nella sua algida “divisa”: grandi occhiali da sole neri, i capelli bianchissimi raccolti in una settecentesca coda di cavallo, camicia bianca immacolata dal collo molto alto, sigillata da una cravatta gioiello, e completo rigorosamente nero, come i guanti da cui non si separava mai. Tra le mani aveva sempre un ventaglio, vezzo che da qualche tempo aveva sostituito con lo smartphone.

Così ce lo ricordiamo e così aspettavamo di vederlo il 22 gennaio scorso alla fine della sfilata parigina di Alta Moda di Chanel, di cui dal 1983 rappresentava la mente creativa. Senza preavviso però, Karl non ha fatto il suo consueto ingresso in passerella per prendersi gli applausi del pubblico ma al suo posto è comparsa a sorpresa la supermodella italiana Vittoria Ceretti, con un lungo velo da sposa applicato a una calotta/cuffia da bagno incrostata e un costume/bustier lavorato come il copricapo, diventato poi simbolo dell’intera sfilata. La motivazione ufficiale? “Karl Lagerfeld è stanco“.

Difficile a credersi, perché Lagerfeld non era mai stanco: lo dimostra il fatto che alla sua età era l’unico designer al mondo a lavorare in contemporanea per tre diverse griffe (Fendi, Chanel e Karl Lagerfeld, il suo brand), creando senza sosta e senza limiti di genio abiti indimenticabili che resteranno per sempre nella memoria di chi ha vissuto con lui il periodo d’oro dell’alta moda, oltre che nei libri di costume. Lettore incallito, innamorato dell’arte, aveva una verve sfrontata e la risposta sempre pronta. “Il lusso è la libertà di spirito, l’indipendenza, in breve il politicamente scorretto”, diceva colui che ha donato al mondo dell’haute couture un pizzico di autoironia e tantissimo rigore, un tocco di accidia e tantissime lezioni di stile. Prima fra tutte l’ode alla camicia bianca, maschile, dal taglio sartoriale: da balane capo del guardaroba maschile di tutti i giorni, lui ha saputo renderla un accessorio iperfemminile degno di sfilare in passerella.

Nato ad Amburgo nei primi anni Trenta, Lagerfeld si trasferì a Parigi con la madre dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La sua sessantennale carriera nel mondo della moda iniziò come autodidatta: vinse un concorso dell’International Wool Secretariat (oggi International Woolmark Prize) e lì conobbe Yves Saint Laurent, allora 17enne. Il primo a notare il suo talento fu Pierre Balmain ma dopo tre anni di gavetta nel suo atelier Lagerfeld lo lasciò perché, disse, “non ero nato per fare l’apprendista“. Nel 1961 divenne direttore artistico di Jean Patou ma resistette poco perché la linfa creativa che scorreva nelle sue vene lo fece stancare subito di  disegnare solo abiti su misura per la classe più abbiente. Ad attirarlo come una calamita era infatti il prêt-à-porter, che lanciava all’epoca i primi vagiti tra lo scetticismo generale. Così iniziò a collaborare con una lunga serie di marchi da Chloè a Krizia, Ballantyne, Cadette e Mario Valentino. Dalla sua matita a carboncino usciva di tutto: abiti, borse, scarpe e gioielli che ora sono diventati veri e propri oggetti di culto.

Nel 1965 diede una sferzata alla sua carriera, firmando un contratto a vita con le sorelle Fendi, lo stesso che poi nel 1983 siglerà con Chanel, dando inizio alla direzione creativa più lunga della storia. Lui e Coco sarebbero andati d’accordissimo e siamo sicuri che Madamoiselle avrebbe apprezzato la rivoluzione silenziosa che Lagerfeld ha apportato negli anni alla sua “petite robe noir”, quel tubino nero divenuto simbolo della maison. Non solo i tessuti, i tagli e le confezioni, Karl seguiva personalmente tutte le campagne pubblicitarie dei brand per cui lavorava (da buon visionario era anche un fotografo eccelso) e progettava lui le scenografie delle sue sfilate. Vi ricordate la stazione spaziale? E il supermercato? Per non parlare dell’ultima spettacolare spiaggia artificiale, con tanto di risacca. Con lui Chanel torna a essere uno dei punti di riferimento dell’eleganza, uno status symbol, qualcosa da esibire tanto per le gran dame quanto per le star e le it-girl della nuova generazione.

Esteta. Irriverente ma mai sopra le righe. Audace anche troppo, timido quando voleva, ha saputo precorrere i tempi senza mai forzare le cose. Less is more ma non per lui, abituato a bere solo Diet Coke perché l‘acqua non era abbastanza “tasty”. A fargli cambiare idea furono alcuni capi di Dior Homme disegnati da Hedi Slimane: li adorava, ma non erano adatti al suo fisico. Così, nel 2000 decise di mettersi a dieta e abbandonare ogni vizio: perse 42 chili in 13 mesi. Abbandonò gli abiti morbidi dei designer giapponesi e coniò quel look che l’avrebbe reso iconico.

Adieu Karl, te ne sei andato nella mattinata del 19 febbraio 2019, proprio a poche ore dall’inizio del calendario della Milano Fashion Week. La sua eredità andrà in gran parte a Choupette, l’amatissima gatta bianca che lui stesso aveva designato come erede. Ma il vero patrimonio sono lo stile e le creazioni che ci ha regalato nei suoi oltre sessant’anni di carriera. Nel frattempo sarà Virginie Viard, suo braccio destro da oltre 30 anni, a garantire la continuità del marchio Chanel, fino all’annuncio di un nuovo designer.

Karl Lagerfeld è morto a 85 anni: stilista e icona pop, fu l’unico designer a lavorare in contemporanea per tre griffe. La sua eredità? Andrà alla gatta Choupette
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