Il papà dell'ex premier a novembre scorso rifiutava il paragone con Antonio Di Maio. Ma dopo che ilfatto.it aveva riportato la storia del risarcimento dovuto da una sua società a un nigeriano, dall'ordinanza del gip che ha concesso gli arresti domiciliari emergono racconti di lavoratori in nero legati alle sue società, oltre alle accuse di bancarotta fraudolenta e false fatture. Mentre nel suo ultimo libro Matteo scrive: "Unica infrazione di mio padre un eccesso di velocità"
“Un libero cittadino che fino a 63 anni aveva commesso forse quale unica infrazione un eccesso di velocità“. Nel suo ultimo libro ‘Un’altra strada‘ Matteo Renzi scrive così del padre Tiziano, da lunedì sera agli arresti domiciliari insieme alla moglie Laura Bovoli con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatture. A leggere le carte dell’ordinanza firmata dal gip Angela Fantechi emerge una realtà ben diversa che racconta non solo di un “programma criminoso” messo in atto dai genitori dell’ex premier “da molto tempo” e che comprende intrecci tra cooperative “dolosamente caricate di debiti previdenziali e fiscali” e poi “abbandonate al fallimento“. Ma anche di lavoratori in nero. Proprio l’accusa da cui Tiziano Renzi si era sempre smarcato.
“Non ho dipendenti in nero”, si vantava su Facebook a fine novembre scorso, prendendo le distanze dal paragone con Antonio Di Maio dopo il caso sollevato dalle Iene sull’ex lavoratore in nero nell’azienda del padre del ministro del Lavoro. Già pochi giorni dopo ilfattoquotidiano.it aveva raccontato la storia di Evans Omoigui, un nigeriano impiegato nel 2007 come co.co.co in una società della galassia Renzi (Arturo Srl, poi liquidata) e licenziato in tronco quando aveva preteso una retribuzione adeguata al posto di miseri 750 euro al mese. Nel 2011 l’azienda del padre del futuro premier è stata condannata a risarcirlo con 90mila euro: soldi che Omoigui non ha mai ricevuto, prendendosi del “faccia di m..” dallo stesso Tiziano Renzi quando a gennaio si è presentato insieme alle Iene sotto casa sua. Senza dimenticare le testimonianze di due ex distributori di quotidiani, raccolte dal quotidiano La Verità, che hanno sottolineato di aver lavorato per la società Speedy Florence, di proprietà della famiglia dell’ex premier, senza firmare contratti, venendo pagati cash.
Circostanza raccontata anche da Luigi Corcione: “Ero a nero e il mio compenso lo prendevo in contanti”, ammetteva il 9 maggio scorso di fronte alla guardia di Finanza, parlando del suo rapporto di lavoro con la Delivery Service. È una delle cooperative della galassia di Renzi senior su cui i magistrati fiorentini hanno messo gli occhi, insieme alla Europe Service e alla Marmodiv, nell’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari. Corcione non è l’unico a parlare di lavoro nero, nelle 96 pagine dell’ordinanza. Il gip ricorda l’ispezione del 9 novembre 2010 nella sede Pisana della stessa Delivery in cui i carabinieri accertarono l’impiego di lavoratori in nero. Stesso esito il 16 aprile dell’anno successivo, quando l’Ispettorato Nazionale del Lavoro accertò il nero questa volta a Genova. Entrambe le violazioni sono state contestate a Pasqualino Furii, anche lui indagato, che dal 22 maggio 2010 “era diventato amministratore della cooperativa insieme a Gian Franco Massone e, di fatto, Mariano Massone“, anche lui agli arresti domiciliari da lunedì sera.
Che c’entra allora Tiziano Renzi? Secondo i pm Christine Von Borries e Luca Turco la Delivery ha un ruolo fondamentale nel “sistema” gestito dai genitori dell’ex premier Pd. Tanto che il giudice spiega come la cooperativa sia stata “costituita per volontà di Tiziano Renzi e Laura Bovoli che hanno partecipato alla sua gestione unitamente ai coniugi Massone. La società è stata formalmente amministrata da persone di loro fiducia“. In tal senso emblematico è quanto racconta sempre Corcione ai finanzieri: “Rendicontavo i pagamenti e l’attività settimanale alla Delivery Service. Preciso che l’interlocutrice della casella di posta elettronica della Delivery Service Italia alla quale inviavo tale rendiconto era tale ‘Lalla‘”. “Lalla”, ovvero Laura Bovoli, la moglie di Tiziano Renzi.
È il testimone Antonello Gabelli, interrogato il 14 marzo scorso, a confermare quanto già emerso anche dalle verifiche dei finanzieri. “In merito alla Delivery service – si legge a verbale – preciso che Laura Bovoli e Giovanna Gambino si occupavano di questioni amministrativo-gestionali della stessa azienda. Mentre Massone e Renzi erano i commerciali: sono loro che gestivano tutto di fatto”. Gabelli descrive anche come “venivano create aziende, prevalentemente sotto forma di cooperative, al solo fine di raggruppare i lavoratori o i mezzi”. “Tali realtà venivano distinte dalle società capofila”, come la Eventi 6. Secondo il testimone, i genitori di Matteo Renzi e i coniugi Massone “creavano società cooperative al fine di svolgere il lavoro operativo, concentrando tutte le criticità su queste e lasciando ‘pulite‘ le menzionate società capofila“.
Tant’è che la cooperativa Delivery Service fallisce il 17 giugno 2015. Dalle indagini compiute dalla guardia di Finanza e dalle verifiche effettuate dal curatore fallimentare, scrive il giudice, “risulta che la maggior parte dei debiti della cooperativa hanno ad oggetto retribuzioni dovute a dipendenti“, oltre a debiti erariali e previdenziali. Tra i dipendenti ascoltati dalla Finanza ce ne sono molti che ricordano come proprio la signora Lalla fosse la persona a cui fare riferimento. C’è per esempio Corcione che lavorava “a Pisa, in località Ospedaletto, dove c’era una piattaforma logistica che si occupava di distribuire i vini di Giordano Vini. Ero a nero e il mio compenso lo prendevo in contanti con i soldi presenti in cassa e che derivavano dagli interessi della Giordano Vini, con i quali pagavo anche il carburante e i meccanici per i mezzi che venivano utilizzati per le consegne”, dirà a verbale. Nel frattempo, già nel 2010, come ricostruisce l’ordinanza, 32 dipendenti erano passati alla nuova cooperativa, la Europe Service.
Un passaggio raccontato in un mail che Laura “Lalla” Bovoli invia proprio al marito Tiziano Renzi in data 7 maggio 2010. È preoccupata per i “quintali di consegne Vino Giordano” e scrive: “I pochi furgoni di Delivery saranno sulle strade e i tanti dipendenti Delivery saranno anche su furgoni di altri. L’unica cosa che salvaguarda Ia cooperativa e andare subito a dare gli stipendi e a far firmare contemporaneamente le dimissioni a tutti. Poi la nuova Cooperativa, sommersa dalle consegne sia dei vini che dei volantini, sarà costretta a riassumerli subito. Non esistono alternative”. Poi anche la Europe Service fallisce, il 26 aprile 2018. “Contemporaneamente creiamo una nuova cooperativa e la mettiamo pronta – scrive Tiziano Renzi in un’altra mail del 18 novembre 2015 – quando abbiamo preso in mano i lavoratori ed abbiamo capito facciamo il blitz, cambiamo il presidente e chiudiamo Marmodiv per mancanza di lavoro che nel frattempo dall’oggi al domani dirottiamo alla nuova“.
La Marmodiv è la terza coop finita nel mirino dei pm, per cui avevano già chiesto il fallimento il 4 settembre 2018. Scattano le perquisizioni e il 31 gennaio 2019 la Procura del capoluogo toscano ordina un’ultima consulenza tecnica d’ufficio proprio sulla Marmodiv. Quest’ultimo non è un particolare di poco conto: non si tratta di una situazione già chiusa, ma assolutamente in divenire. E che determina la scelta del gip di concedere gli arresti domiciliari. Dalla Arturo srl e la storia di Omoigui del 2007 fino alla Marmodiv, passando per Direct Service ed Europe Service: una storia di società “abbandonate al fallimento“, come ha scritto appunto il giudice nell’ordinanza. Con tutto ciò che ne consegue per i lavoratori. Il 31 maggio scorso davanti ai pm che gli contestavano fatture per 4mila euro, l’imprenditore Paolo Magherini vuotava il sacco sui suoi rapporti con la coop Marmodiv e tra le altre cose diceva: “Questi soldi credo servissero poi a pagare al nero altri dipendenti”.