La scorsa settimana ho avuto occasione di assistere, in qualità di osservatore internazionale, alle prime tre udienze del processo contro i leader catalani, imputati di gravi reati per aver organizzato il referendum di autodeterminazione del 1° ottobre 2017. Si è trattato di un evento di estremo interesse dal punto di vista politico e scientifico. L’impressione di fondo che ho provato è quella che ho riferito a vari media in quei giorni e cioè di trovarmi nel luogo sbagliato.
Infatti un problema di natura eminentemente politica come quello del rapporto tra la Catalogna e il resto della Spagna, che ha profonde radici e implicazioni di carattere storico, politico, economico, culturale e altre ancora, non può ovviamente essere risolto da un giudizio penale e con la minaccia di decine di anni di reclusione per reati gravissimi (ribellione, sedizione, malversazione).
Questo difetto di fondo si riverbera ovviamente su vari aspetti del processo in corso. Un primo elemento, di dimensioni macroscopiche, è dato dall’intento dell’Audiencia e del Tribunale Supremo di processare persone “colpevoli” di aver voluto dare espressione a un libero voto democratico cui hanno partecipato di fatto, nonostante il pesante boicottaggio posto in essere dalle autorità statali, milioni di persone.
Quale che sia il giudizio sul progetto indipendentista, è del tutto evidente che i nostri Paesi, in Europa e al di fuori di essa, hanno bisogno di più democrazia, non di meno democrazia e più repressione. Vi sono poi altri aspetti che costituiscono altrettante violazioni di principi fondamentali del diritto penale e del diritto processuale penale, dalla presunzione di innocenza alla parità delle parti nel processo (stante le difficoltà della difesa nell’accedere a parte della documentazione probatoria), alla stessa libertà personale degli imputati indebitamente sacrificata con l’inflizione di oltre un anno di carcerazione preventiva del tutto ingiustificata.
In questo quadro va sottolineato altresì il carattere totalmente e profondamente pacifico e non violento degli eventi del 1° ottobre, salvo ovviamente per la brutale repressione con tanto di pestaggi degli elettori organizzata dalla Guardia civil e dalla Policia nacional. Probatoria a tale fine la perizia presentata da alcuni superpoliziotti britannici, che però non è stata sorprendentemente acquisita dal Tribunale (che peraltro ha negato l’accesso anche a quella di segno contrario, elaborata da taluni organismi addetti alla sicurezza nazionale).
Il problema della necessaria articolazione e distribuzione dei compiti tra Stato centrale e autonomie, ivi compresa la possibilità di percorrere in taluni casi pacificamente la strada dell’autodeterminazione e della secessione (come si è tentato di recente, con successo o meno dell’ipotesi separatista, in moltissimi casi e contesti, dal Quebec alla Scozia, dal Kosovo alla Slovacchia), è senza dubbio arduo e complesso. Si tratta infatti di stabilire un equilibrio tra principio di autonomia e principio di solidarietà, e più in generale tra valori costituzionali condivisi e identità storica e culturale specifica di determinate istanze territoriali.
Ne sappiamo qualcosa anche in Italia, dove attualmente è in corso la discussione di un pessimo disegno di legge costituzionale che contribuirà certamente ad aumentare le distanze tra Nord e Sud e su cui è stata promossa da Domenico Gallo una petizione che riafferma le ragioni dell’unità nazionale, mentre Luigi De Magistris ha sottolineato le valenze liberatorie dell’autonomia anche per le regioni tradizionalmente meno sviluppate.
È un dibattito che va ovviamente proseguito, nel quadro delle specifiche situazioni nazionali nel loro divenire storico. La questione catalana, ad esempio – e il discorso vale anche per altre questioni nazionali storiche della Spagna, come quella basca – si contraddistingue, come scrive Marco Santopadre nel suo accurato e approfondito saggio in materia, per l’intreccio fra questione nazionale e questione sociale.
Vi sono poi altri aspetti della problematica che presentano un carattere più universale, dato che al suo interno si confrontano istanze di estrema importanza, solo parzialmente contraddittorie fra di loro (accentramento–decentramento; unità-differenza; autonomia-solidarietà). Quello che è certo è che problematiche di questo genere non possono essere risolte evocando lo spettro di condanne a decine di anni di carcere per ipotesi di reato del tutto infondate. Questa è tuttavia la strada scelta da determinati settori delle istituzioni nazionali spagnole, il che dimostra come un altro fantasma, quello del franchismo, sia ancora lungi dall’essere stato pienamente esorcizzato e scacciato dalla Spagna.