Per il diplomatico, la figlia del collega – disertore come lui – è stata prelevata con la forza e riportata a Pyongyang. Ma secondo la Farnesina le cose sono andate diversamente: la 17enne, quattro giorni dopo che il padre ambasciatore insieme alla moglie aveva fatto perdere le proprie tracce il 10 novembre, è stata accompagnata in aeroporto dal personale femminile della sede diplomatica perché aveva chiesto di ritornare dai nonni, a Pyongyang. Il caso – che ricorda quello di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov – è quello della figlia di Jo Song-gil, l’ex ambasciatore nordcoreano reggente a Roma “scomparso” a novembre. Secondo Thae Yong-ho, ex numero due dell’ambasciata della Corea del Nord a Londra che dal 2016 si è rifugiato a Seul, la ragazza è stata prelevata nel corso di un blitz prima che i suoi genitori raggiungessero il luogo, al momento segreto, dove si trovano.
Questa invece la versione della Farnesina. Il 3 gennaio il ministero di Moavero Milanesi – che spiega che sulla vicenda “sono in corso accertamenti” – aveva già reso noto di aver ricevuto per via diplomatica dall’ambasciata della Corea del Nord a Roma la comunicazione relativa all’avvicendamento del funzionario presso l’ambasciata stessa. La Farnesina ha ricevuto due note formali al riguardo. La prima, datata 20 novembre 2018, con la quale veniva data notizia dell’assunzione delle funzioni di Incaricato d’Affari a Roma da parte del Signor Kim Chon. La seconda, datata 5 dicembre 2018, con la quale si informava che l’ex Incaricato d’Affari Jo Song Gil e la moglie avevano lasciato l’Ambasciata il 10 novembre e che la figlia, avendo richiesto di rientrare nel suo Paese dai nonni, vi aveva fatto rientro, il 14 novembre 2018, accompagnata da personale femminile dell’Ambasciata. Un caso su sui il Copasir, tenuto alla segretezza nei suoi lavori, si è da tempo attivato, come succede quando emerge un coinvolgimento dell’intelligence.
“La storia di Jo Song-gil e di sua figlia, rapita dall’intelligence nordcoreana in Italia, se confermata, sarebbe un caso di una gravità inaudita – scrive su facebook il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano – Quando avvenne una cosa simile, il caso Shalabayeva, andai direttamente in Kazakistan per incontrarla e capire cosa fosse accaduto e appurammo responsabilità dirette dell’allora Ministro dell’Interno Alfano. Chi ha responsabilità pagherà, statene certi”.
E sul caso intervengono anche i deputati e senatori del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Affari Esteri di Camera e Senato che chiedono “al Ministro dell’Interno di riferire in Parlamento e di fare chiarezza sulle notizie relative al rapimento e al rimpatrio forzato della figlia minorenne dell’ex ambasciatore nordcoreano da parte dei servizi di Pyongyang. Se i fatti fossero confermati – proseguono – sarebbero gravissimi, un nuovo caso Shalabayeva. Non è tollerabile che agenti dell’intelligence di un Paese straniero agiscano indisturbati in territorio italiano compiendo attività illegali. La giovane rischia nel suo Paese di essere imprigionata e torturata”. Chiede al ministro di fare chiarezza anche la dem Lia Quartapelle, capogruppo in Commissione Esteri della Camera. “Se confermato – dice- sarebbe un fatto gravissimo. Per di più si profilerebbe una violazione clamorosa della nostra sovranità nazionale con l’incursione da parte di un’intelligence straniera per rapire una minorenne e ricondurla in uno Stato dove vige una dittatura feroce e dove sarà soggetta a pesanti ritorsioni e vendette per il tradimento del padre”. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni parla di “questione di grande imbarazzo per il nostro Paese” e anche Andrea Delmastro, capogruppo Fdi in commissione Esteri alla Camera, e la presidente dei senatori Forza Italia Anna Maria Bernini chiedono a Salvini di riferire in aula.
L’appello per accogliere Jo Song-gil -“Non sono sicuro di quanti figli avesse Jo, ma quella che era in Italia è stata rimandata in Corea del Nord. Jo è attualmente con la moglie”, ha detto Thae Yong-ho, secondo cui Jo si trova probabilmente ad affrontare una “situazione difficile, nella quale non gli è possibile far sapere dove si trovi o apparire in pubblico per il timore legato alla sicurezza della figlia”. Jo era arrivato in Italia con un nuovo mandato diplomatico a maggio del 2015, divenendo incaricato d’affari e quindi reggente della sede fino a novembre 2018, a seguito dell’espulsione dell’ ambasciatore Mun Jong-nam a ottobre 2017 in risposta al sesto test nucleare fatto dal Nord appena un mese prima. “Non posso più dire pubblicamente a Jo di venire in Corea del Sud“, ha aggiunto Thae, ricordando che il Nord è solito procedere ad aspre ritorsioni nei confronti dei familiari delle persone che decidono di disertare a Seul piuttosto che in Paesi terzi. Il “livello di punizione per i figli e i famigliari è completamente diverso” quando un diplomatico nordcoreano diserta per la Corea del Sud, piuttosto che per gli Stati Uniti o i Paesi europei, ha spiegato Thae. Il mese scorso, un gruppo di importanti disertori e attivisti nordcoreani, tra i quali lo stesso Thae, avevano lanciato un appello al governo sudcoreano affinché fornisse rifugio a Jo e alla sua famiglia, nel caso avessero deciso di fuggire a Seul. L’ex diplomatico nordcoreano nel corso della conferenza stampa ha però fatto marcia indietro su questo punto, sostenendo che le circostanze della diserzione di Jo e il fatto che la figlia si trovi ora in mano alle autorità nordcoreane renderebbero troppo pericolosa la fuga in Corea del Sud dell’ex incaricato d’affari a Roma.
Chi è Jo Song Gil – Ha 48 anni. È stato ambasciatore a Roma dall’ottobre 2017, dopo che l’Italia aveva espulso l’ambasciatore Mun Jong-nam in segno di protesta contro un test nucleare della Corea del Nord avvenuto un mese prima in violazione delle risoluzioni dell’Onu. Jo avrebbe dovuto terminare il suo incarico alla fine di novembre 2018. È esponente di una delle famiglie più importanti del regime nordcoreano e questo spiegherebbe perché, quando Jo si trasferì a Roma nel maggio del 2015, gli fu consentito di portare con sé la famiglia. Le autorità di Pyongyang, infatti, generalmente sono obbligati a lasciare in patria i loro famigliari, per scoraggiare eventuali defezioni. All’epoca della sua defezione, la stampa sudcoreana diffuse la notizia che Jo aveva chiesto protezione personale al governo italiano all’inizio di dicembre, una procedura diplomatica volta a garantire che non venisse rimpatriato, in attesa che venisse sia accolta la richiesta di asilo in un paese terzo. La Farnesina smentì la circostanza.