Se qualcuno avesse dei dubbi sull’irrilevanza della politica quando si parla di asfalto, avrebbe dovuto partecipare al recente vertice Regione Lombardia-enti locali-imprese, che ha rilanciato l’ennesima autostrada farsa in Pianura padana: la Cremona-Mantova. Il senso di quell’incontro era press’a poco: l’autostrada bisogna farla. Perché? Perché sì. Intorno a questo indiscutibile assioma erano tutti d’accordo: i presidenti Pd delle province di Cremona e Mantova, Davide Viola e Beniamino Morselli, i sindaci Pd dei due comuni capoluogo, Gianluca Galimberti e Mattia Palazzi e quello Pd di Crema Stefania Bonaldi, il sindaco leghista di Casalmaggiore Filippo Bongiovanni e naturalmente la supergiunta lombarda del leghista Attilio Fontana, solo per citare i più rappresentativi. Ma decisiva, stavolta, è stata la pressione del centro-sinistra.

Di quest’arteria di 59 km si parla da una quindicina d’anni, ma l’ultima Valutazione ambientale è del 2011, sulla base della convenzione approvata quattro anni prima. Questa la carta d’identità dell’opera: 4 svincoli con le autostrade A21 e A22, 122 bretelle di collegamento, 7 viadotti, 9 ponti, 2 gallerie, 5 autostazioni, 2 aree di sosta, 2 aree di servizio, 243 interferenze con la viabilità esistente, 400 interventi su corsi d’acqua e cento aziende agricole cancellate, per un totale di 16.500.000 m3 di inerti da reperire nelle campagne circostanti. Costo complessivo: un miliardo circa, di cui la Regione aveva già stanziato 108 milioni euro. Concessionaria: Stradivaria della Centropadane, controllata da svariati enti locali con un buon 25% del gruppo Gavio, che potrebbe utilmente subentrare negli appalti.

Quanto fossero esagerate le stime di traffico su quella linea lo dimostra il fuggi-fuggi di finanziatori. Perfino Intesa Sanpaolo dell’era Passera abbandonò l’idea, la stessa banca che in quel periodo mise sul piatto 590 milioni (tra finanziamenti e quote azionarie) in opere rigorosamente in perdita come Brebemi, Teem e Pedemontana, poco più a nord. Ma non nella Cremona-Mantova, c’è un limite a tutto. Così ci ha pensato il governatore Attilio Fontana con altri 400 milioni, direttamente dalle tasche dei lombardi, annunciando il taglio del nastro in un quinquennio. Mancherebbero ancora 500 milioni, ma con qualche garanzia regionale non è detto che le banche non si convincano.

“Stradivaria e Infrastrutture Lombarde, nelle prossime settimane, dovranno concentrarsi sul Pef (Piano economico finanziario), che deve essere sostenibile, consentendo di definire quale sarà il reale costo dell’infrastruttura e quanto dovrà reperire la parte pubblica rispetto a quella privata”, spiega la Regione. Perché, già che ci siamo, non fare anche una valutazione costi-benefici indipendente, trasparente e comparabile? Magari scopriremmo che basterebbe riqualificare  e allargare l’ex Statale 10 spendendo un quinto, come hanno calcolato i comitati. E che dire del raddoppio della tormentata linea ferroviaria Milano-Mantova? Barlumi di buon senso che non hanno attraversato l’autorevole consesso.

E una volta finita la nuova Brebemi, perché non completare anche la perpendicolare Tirreno Brennero (Gavio, quasi 3 miliardi) e la Broni Mortara (Gavio, 1 miliardo)? E chissà che il suddetto Gavio non aiuti a ricapitalizzare l’esangue Pedemontana, orgoglio leghista a rischio chiusura?

Abbiamo così tutti gli ingredienti di un’altra grande opera in perdita: un finto project financing puntellato con i soldi dei contribuenti, traffico insufficiente, assenza di valutazioni tecniche indipendenti, nessuna analisi delle alternative e la solita filiera cemento-asfalto che, forse, tornerà utile alle prime elezioni. E, naturalmente, il consenso bipartisan. Il Pd in Lombardia ha sponsorizzato senza battere ciglio tutte le autostrade fallimentari a braccetto con il centro-destra, sottraendo risorse alle spese utili. I 2 miliardi riversati sulla triade Pedemontana-Brebemi-Teem potevano rifinanziare il trasporto pubblico, la sanità o l’istruzione, un tempo battaglie simbolo della sinistra, o la stessa “cura del ferro” lanciata dall’ex ministro Delrio, rimasta sulla carta.

E se la spirale cemento-asfalto è la cifra comune dei due schieramenti – e dunque l’idea stessa di territorio, ambiente e qualità della vita – dove stanno le differenze?

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