Duecento uomini tra Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza ed Esercito sono impegnati da questa mattina in un’operazione di sgombero a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, dove vivono circa 2mila migranti impiegati nelle aziende agricole dell’area. Il blitz, disposto dal gip del tribunale su richiesta della Procura, avviene nella baraccopoli in cui risiedono persone appartenenti a diverse etnie stabilitisi da tempo anche per la vicinanza con il Cara, il centro di accoglienza richiedenti asilo, e ha come obiettivo l’abbattimento di alcuni immobili abusivi utilizzati per attività illecite come la prostituzione e lo spaccio di droga.

L’operazione nel borgo, dove “la dignità, le regole e i diritti sono quotidianamente calpestati”, viene denominata ‘Law and Humanity‘. “Il sequestro odierno non riguarda immobili o baracche adibiti ad abitazione“, precisa la Procura in un comunicato, ma riguarda alcuni edifici ed ambienti in cui si svolgono le attività illecite con la finalità di spezzare il circuito tra criminalità, sfruttamento delle persone e mancato riconoscimento dei diritti umani. Il nome dell’operazione spiegano ancora i pubblici ministeri “vuole esprimere il convincimento sulla possibilità e doverosità di coniugare l’accoglienza dei migranti con il rispetto della legalità e della dignità umana”.

I reati per cui si procede vanno dall’occupazione abusiva di terreni pubblici al furto di energia elettrica fino a violazioni in materia ambientale con pregiudizio per la salute pubblica. Il procedimento è partito dopo due incendi verificatisi nel ghetto il 30 ottobre e l’1 novembre scorso che hanno causato la morte di un cittadino extracomunitario (il gambiano Bakary Secka) e il ferimento con ustioni di altri migranti. L’area in cui si sono sviluppati gli incendi è di proprietà dell’Aeronautica militare in fase di passaggio all’Agenzia del Demanio, si estende per ben 165 ettari ed è collocata tra i territori di Foggia e Manfredonia, vicino al Cara.

L’area, scrivono i magistrati, “è del tutto sprovvista di presidi di sicurezza. Ciò rende difficile ricostruire le cause degli incendi anche perché la zona è popolata, abusivamente, da circa duemila persone che vivono in condizioni di assoluta precarietà e al di sotto di ogni standard minimo di dignità“. Le baracche della bidonville sono realizzate “con materiali di fortuna infiammabili, rifornite di energia elettrica con cavi volanti, riscaldate con bombole di gas acquistate illegalmente e prive di ogni manutenzione, puntellate da cumuli di rifiuti, tutte situazioni che creano un concreto pericolo di ulteriori incendi”.

In questa zona, che si contraddistingue per le “inumani e pericolose condizioni di vita degli abitanti” si svolgono, precisano i magistrati, “svariate attività illecite” come il caporalato, lo sfruttamento del lavoro, oltre che per lo “spaccio di droga, prostituzione gestita da organizzazioni criminali, ricettazione e rivendita di beni rubati”. Una situazione che si contraddistingue per le “inumani e pericolose condizioni di vita degli abitanti”, in un’area che soddisfa “sia pure con modalità illecite e pericolose l’esigenza abitativa di soggetti per i quali allo stato non si intravvedono alternative“. Circostanza che ha indotto la Procura “ad adottare una strategia graduale capace di contemperare i diversi interessi in gioco”. Per questo motivo il sequestro “ha ad oggetto alcuni edifici ed ambienti in cui si svolgono le attività illecite menzionare, con la finalità di spezzare il circuito tra la criminalità, sfruttamento delle persone e mancato riconoscimento dei diritti umani“.

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