In attesa domani del piano industriale di Tim, il governo gialloverde tenta di mettere una pezza a colori al caso Huawei. E di evitare così che, dopo la crisi con la Francia, si apra un fronte anche con gli Stati Uniti, particolarmente sensibili al tema dello spionaggio attraverso le infrastrutture di telecomunicazioni. “Gli Usa non devono preoccuparsi della nostra lealtà. Non è mai stata una questione. Se c’è un problema possiamo essere aiutati a prendere la decisione migliore ma questo non significa andare contro i nostri alleati americani”, ha spiegato all’agenzia americana Bloomberg il sottosegretario leghista al Mise Michele Geraci, economista con cattedra a Shanghai e uno dei pochi italiani nel governo a parlare correntemente cinese. “La questione non è: Huawei sì, Huawei no. La vera domanda dovrebbe riguardare il fatto che i produttori stranieri di apparecchiature sono autorizzati ad accedere alla tua rete. Non vedo Huawei come un problema, per me è solo uno dei 25 nomi di produttori di apparecchiature tra cui scegliere, con prezzi diversi e qualità diversa“, ha poi aggiunto Geraci, che ha ammesso come cancellare i contratti con Huawei “potrebbe essere un problema”.
Per quale ragione? Huawei, uno dei più grandi produttori al mondo di apparecchiature per le telecomunicazioni, è in prima linea nello sviluppo della nuova tecnologia wireless 5G in Italia. Quella cioè che, assieme alla fibra, promette di rivoluzionare l’industria e la vita quotidiana delle persone con veicoli a guida autonoma e mille altre applicazioni smart. Non a caso, a novembre, l’azienda cinese ha tenuto proprio a Roma il suo forum europeo per raccontare le potenzialità della nuova tecnologia. In quella occasione, il gruppo cinese, assieme alla controllata pubblica Acea, ha anche presentato un progetto pilota europeo di monitoraggio sul territorio nell’area del parco archeologico del Colosseo. Con la benedizione del sindaco della Capitale, Virginia Raggi, che già in precedenza aveva incontrato i vertici di Huawei in una convention realizzata dall’azienda cinese in Parlamento alla presenza del vicepremier Luigi Di Maio. Senza contare che, Campidoglio a parte, Huawei è protagonista in Italia nella sperimentazione 5G anche a Milano, Bari e Matera in dei progetti-vetrina che rappresentano un unicum nel Vecchio Continente.
Agli americani non è sfuggito il dinamismo in Italia dell’azienda cinese che, assieme alla società pubblica di Pechino Zte, domina il mercato delle apparecchiature di rete. Non a caso la questione è stata affrontata nei giorni scorsi in un incontro fra l’ambasciatore Lewis Eisenberg e il vicepremier Luigi Di Maio. E, alla fine della riunione, il vicepremier ha lanciato l’idea di creare una struttura al Mise “per assicurare il controllo della sicurezza di tutti gli apparecchi, software ed operatori”. Del resto, secondo quanto riportato dal Financial Times, l’intelligence britannica avrebbe definito “gestibili” gli eventuali rischi di spionaggio legati all’uso di tecnologia 5G. Ma gli americani non sono convinti che le cose stiano in questi termini. Non a caso, secondo il Wall Street Journal, l’ambasciata statunitense a Roma ha anche convocato un operatore presente in Italia, che ha investito soprattutto in apparecchiature Huawei, chiedendo maggiori dettagli sulla collaborazione in atto con l’azienda cinese.
Da tempo, del resto, gli Stati Uniti hanno avviato una vera e propria guerra contro le infrastrutture di rete prodotte da Huawei e dalla connazionale pubblica ZTE. Un conflitto senza esclusione di colpi che, nel dicembre scorso, ha portato anche al fermo del direttore finanziario di Huawei, Meng Wanzhou, con l’accusa di fare affari con l’Iran. Il tema telecomunicazioni è rovente nelle relazioni fra Pechino e Washington che ravvisa problemi di sicurezza nell’uso di tecnologie cinesi. “Per anni, funzionari del governo statunitense hanno espresso perplessità sul fatto che la sicurezza nazionale potesse essere messa a repentaglio da alcuni fornitori di equipaggiamenti lungo la catena produttiva – spiega un documento del 18 aprile 2018 che porta la firma Ajiit Pai, presidente della Federal Communication Commission, organismo americano che vigila sulle telecomunicazioni -. Porte nascoste (backdoors) su apparati di rete come router e switch possono consentire a poteri stranieri ostili di iniettare virus o utilizzare altri strumenti per rubare i dati privati degli americani, spiare le imprese statunitensi ed altro”.
Di qui, ad agosto scorso, la decisione del presidente Donald Trump di stoppare l’avanzata delle imprese cinesi nelle telecomunicazioni impedendo l’uso di tecnologie Huawei e ZTE per il governo e per i fornitori del governo. A poco è valso che Huawei definisse “semplicemente false” le osservazioni sulla base delle quali gli americani hanno bloccato le imprese cinesi. “Huawei, controllata al 100% dai suoi dipendenti, non pone alcun problema di sicurezza in nessun Paese”, come chiarì una nota ufficiale dell’azienda. “Nessuna agenzia governativa ha mai tentato di intervenire nelle operazioni e decisioni” di Huawei che opera in oltre 170 Paesi.
Difficile dire se la mossa del presidente Trump sia stata motivata solo da preoccupazioni per la sicurezza nazionale e non anche da una strategia commerciale per la supremazia tecnologica. Fatto sta che finora Roma si è mossa in netta controtendenza rispetto a Washington che da un lato è in pressing su tutti gli alleati europei e dall’altro ha conquistato intanto con le sue imprese le più importanti reti europee in fibra (le cosiddette dorsali), funzionali al controllo del traffico dati nell’area continentale e nel Mediterraneo. Del resto, gli americani sanno bene che la partita sulle telecomunicazioni si riapre e si complica con l’avvento della tecnologia mobile di quinta generazione (5G). Soprattutto in Italia, che, tenuto conto della delicata situazione finanziaria, è considerata il ventre molle di un’ Europa in cui i cinesi sono pronti a moltiplicare i già corposi investimenti.
Peraltro non sarebbe la prima volta che Pechino trova terreno fertile a Roma. Persino nelle infrastrutture strategiche. E’ accaduto durante il governo Renzi: nel luglio del 2014, l’esecutivo annunciò di aver venduto al colosso pubblico cinese State Grid Corporation il 35% di Cdp reti, società che controlla l’infrastruttura di distribuzione del gas e dell’elettricità. Si trattò forse di una delle maggiori e significative operazioni effettuate da un gigante pubblico di Pechino non solo in Italia ma anche nell’intero Vecchio Continente. All’epoca il Movimento 5 Stelle intervenne per evidenziare i rischi della cessione. In particolare, in un’interrogazione, datata 6 agosto 2014, i senatori 5Stelle Gian Pietro Girotto e Gianluca Castaldi chiesero all’allora ministro del Mise, Federica Guidi, se il governo, prima di concludere la dismissione, avesse “acquisito il parere dei servizi di sicurezza nazionale, anche in considerazione del fatto che la partecipazione al consiglio di amministrazione della Cdp Reti porterà a diretta conoscenza del Governo cinese informazioni di rilevante interesse strategico, di sicurezza, commerciali e di politica internazionale dell’Italia”. Informazioni che non sono minimamente paragonabili all’enorme flusso dei preziosi dati custoditi dalle reti di telecomunicazione.
Lobby
Rete 5G, il pressing degli Usa sul governo per escludere Huawei. Che in Italia è protagonista della sperimentazione
Washington ha avviato una guerra contro le infrastrutture di rete prodotte dai gruppi cinesi. Di Maio ne ha parlato con l'ambasciatore statunitense, lanciando l'idea di creare una struttura al Mise "per assicurare il controllo della sicurezza di tutti gli apparecchi, software ed operatori". Il sottosegretario leghista Geraci: "Se c’è un problema possiamo essere aiutati a prendere la decisione migliore"
In attesa domani del piano industriale di Tim, il governo gialloverde tenta di mettere una pezza a colori al caso Huawei. E di evitare così che, dopo la crisi con la Francia, si apra un fronte anche con gli Stati Uniti, particolarmente sensibili al tema dello spionaggio attraverso le infrastrutture di telecomunicazioni. “Gli Usa non devono preoccuparsi della nostra lealtà. Non è mai stata una questione. Se c’è un problema possiamo essere aiutati a prendere la decisione migliore ma questo non significa andare contro i nostri alleati americani”, ha spiegato all’agenzia americana Bloomberg il sottosegretario leghista al Mise Michele Geraci, economista con cattedra a Shanghai e uno dei pochi italiani nel governo a parlare correntemente cinese. “La questione non è: Huawei sì, Huawei no. La vera domanda dovrebbe riguardare il fatto che i produttori stranieri di apparecchiature sono autorizzati ad accedere alla tua rete. Non vedo Huawei come un problema, per me è solo uno dei 25 nomi di produttori di apparecchiature tra cui scegliere, con prezzi diversi e qualità diversa“, ha poi aggiunto Geraci, che ha ammesso come cancellare i contratti con Huawei “potrebbe essere un problema”.
Per quale ragione? Huawei, uno dei più grandi produttori al mondo di apparecchiature per le telecomunicazioni, è in prima linea nello sviluppo della nuova tecnologia wireless 5G in Italia. Quella cioè che, assieme alla fibra, promette di rivoluzionare l’industria e la vita quotidiana delle persone con veicoli a guida autonoma e mille altre applicazioni smart. Non a caso, a novembre, l’azienda cinese ha tenuto proprio a Roma il suo forum europeo per raccontare le potenzialità della nuova tecnologia. In quella occasione, il gruppo cinese, assieme alla controllata pubblica Acea, ha anche presentato un progetto pilota europeo di monitoraggio sul territorio nell’area del parco archeologico del Colosseo. Con la benedizione del sindaco della Capitale, Virginia Raggi, che già in precedenza aveva incontrato i vertici di Huawei in una convention realizzata dall’azienda cinese in Parlamento alla presenza del vicepremier Luigi Di Maio. Senza contare che, Campidoglio a parte, Huawei è protagonista in Italia nella sperimentazione 5G anche a Milano, Bari e Matera in dei progetti-vetrina che rappresentano un unicum nel Vecchio Continente.
Agli americani non è sfuggito il dinamismo in Italia dell’azienda cinese che, assieme alla società pubblica di Pechino Zte, domina il mercato delle apparecchiature di rete. Non a caso la questione è stata affrontata nei giorni scorsi in un incontro fra l’ambasciatore Lewis Eisenberg e il vicepremier Luigi Di Maio. E, alla fine della riunione, il vicepremier ha lanciato l’idea di creare una struttura al Mise “per assicurare il controllo della sicurezza di tutti gli apparecchi, software ed operatori”. Del resto, secondo quanto riportato dal Financial Times, l’intelligence britannica avrebbe definito “gestibili” gli eventuali rischi di spionaggio legati all’uso di tecnologia 5G. Ma gli americani non sono convinti che le cose stiano in questi termini. Non a caso, secondo il Wall Street Journal, l’ambasciata statunitense a Roma ha anche convocato un operatore presente in Italia, che ha investito soprattutto in apparecchiature Huawei, chiedendo maggiori dettagli sulla collaborazione in atto con l’azienda cinese.
Da tempo, del resto, gli Stati Uniti hanno avviato una vera e propria guerra contro le infrastrutture di rete prodotte da Huawei e dalla connazionale pubblica ZTE. Un conflitto senza esclusione di colpi che, nel dicembre scorso, ha portato anche al fermo del direttore finanziario di Huawei, Meng Wanzhou, con l’accusa di fare affari con l’Iran. Il tema telecomunicazioni è rovente nelle relazioni fra Pechino e Washington che ravvisa problemi di sicurezza nell’uso di tecnologie cinesi. “Per anni, funzionari del governo statunitense hanno espresso perplessità sul fatto che la sicurezza nazionale potesse essere messa a repentaglio da alcuni fornitori di equipaggiamenti lungo la catena produttiva – spiega un documento del 18 aprile 2018 che porta la firma Ajiit Pai, presidente della Federal Communication Commission, organismo americano che vigila sulle telecomunicazioni -. Porte nascoste (backdoors) su apparati di rete come router e switch possono consentire a poteri stranieri ostili di iniettare virus o utilizzare altri strumenti per rubare i dati privati degli americani, spiare le imprese statunitensi ed altro”.
Di qui, ad agosto scorso, la decisione del presidente Donald Trump di stoppare l’avanzata delle imprese cinesi nelle telecomunicazioni impedendo l’uso di tecnologie Huawei e ZTE per il governo e per i fornitori del governo. A poco è valso che Huawei definisse “semplicemente false” le osservazioni sulla base delle quali gli americani hanno bloccato le imprese cinesi. “Huawei, controllata al 100% dai suoi dipendenti, non pone alcun problema di sicurezza in nessun Paese”, come chiarì una nota ufficiale dell’azienda. “Nessuna agenzia governativa ha mai tentato di intervenire nelle operazioni e decisioni” di Huawei che opera in oltre 170 Paesi.
Difficile dire se la mossa del presidente Trump sia stata motivata solo da preoccupazioni per la sicurezza nazionale e non anche da una strategia commerciale per la supremazia tecnologica. Fatto sta che finora Roma si è mossa in netta controtendenza rispetto a Washington che da un lato è in pressing su tutti gli alleati europei e dall’altro ha conquistato intanto con le sue imprese le più importanti reti europee in fibra (le cosiddette dorsali), funzionali al controllo del traffico dati nell’area continentale e nel Mediterraneo. Del resto, gli americani sanno bene che la partita sulle telecomunicazioni si riapre e si complica con l’avvento della tecnologia mobile di quinta generazione (5G). Soprattutto in Italia, che, tenuto conto della delicata situazione finanziaria, è considerata il ventre molle di un’ Europa in cui i cinesi sono pronti a moltiplicare i già corposi investimenti.
Peraltro non sarebbe la prima volta che Pechino trova terreno fertile a Roma. Persino nelle infrastrutture strategiche. E’ accaduto durante il governo Renzi: nel luglio del 2014, l’esecutivo annunciò di aver venduto al colosso pubblico cinese State Grid Corporation il 35% di Cdp reti, società che controlla l’infrastruttura di distribuzione del gas e dell’elettricità. Si trattò forse di una delle maggiori e significative operazioni effettuate da un gigante pubblico di Pechino non solo in Italia ma anche nell’intero Vecchio Continente. All’epoca il Movimento 5 Stelle intervenne per evidenziare i rischi della cessione. In particolare, in un’interrogazione, datata 6 agosto 2014, i senatori 5Stelle Gian Pietro Girotto e Gianluca Castaldi chiesero all’allora ministro del Mise, Federica Guidi, se il governo, prima di concludere la dismissione, avesse “acquisito il parere dei servizi di sicurezza nazionale, anche in considerazione del fatto che la partecipazione al consiglio di amministrazione della Cdp Reti porterà a diretta conoscenza del Governo cinese informazioni di rilevante interesse strategico, di sicurezza, commerciali e di politica internazionale dell’Italia”. Informazioni che non sono minimamente paragonabili all’enorme flusso dei preziosi dati custoditi dalle reti di telecomunicazione.
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Roma, 2 mar. (Adnkronos) - La capitale si prepara ad accogliere il ‘Resp Festival’, un evento innovativo che promette di trasformare Ariccia in un epicentro di suoni, luci e performance artistiche. Organizzato dal gruppo 06, il Festival si terrà presso il nuovo mega club ‘Factory46’, una struttura di 2.000 mq, (in Via Quarto Negroni 46, Ariccia), dotata di impianto audio all’avanguardia, giardino e zona food. L’evento si svolgerà dal 15 marzo per cinque sabati consecutivi, offrendo un’esperienza sensoriale unica, e rappresentando un nuovo capitolo nella scena della musica elettronica di Roma, portando con sé una ventata di innovazione e sperimentazione.
Il Resp Festival vanta un cartellone con 20 Dj internazionali e italiani, che si esibiranno ogni sabato dalle 23:00 alle 5:00, in un mix di performance dal vivo, spettacoli laser e led wall mozzafiato. Il primo sabato, 15 marzo, vedrà la partecipazione della star internazionale Pablo Say dalla Spagna, insieme alla talentuosa Debora Savasto e Katoff dall’Inghilterra. Tra gli altri protagonisti ci saranno Manuel Le Saux e Sygma, DJ e producer resident del festival. I tanti artisti porteranno sul palco una varietà di stili e influenze, creando un’esperienza sonora unica e coinvolgente.
“Siamo incredibilmente entusiasti di presentare il Resp Festival. Questo evento rappresenta un’opportunità unica per esplorare nuove frontiere della musica elettronica e delle arti visive. Miriamo a creare un’esperienza dinamica e coinvolgente per tutti i partecipanti. Abbiamo lavorato duramente per portare artisti di fama internazionale e talenti emergenti, creando un programma che celebra la diversità e l’innovazione. Non vediamo l’ora di condividere questa avventura con il nostro pubblico e di vedere come il Festival contribuirà a far crescere la scena culturale romana e non solo”, ha spiegato Sergio Serafini, organizzatore del Resp Festival e fondatore del gruppo 06.
Dopo l’inaugurazione del 15 marzo, si prosegue sabato 22 marzo con un evento misterioso e imperdibile, ‘Top Secret’. Poi sabato 29 marzo, si terrà una serata dedicata alle donne DJ, con la partecipazione di Alessandra Roncone, Las Mellizas, Francesca Fagiani, Kalhea e Consuelo. Sabato 5 aprile, sarà ‘La notte House of Vibe’ con il leggendario Joe T. Vannelli e Kristine.
Mentre sabato 12 aprile ci sarà il gran finale con la crew dell’Insomnia Discoacropoli d’Italia di Pisa, guidata dal fondatore Antonio Velasquez e DJ come Gabry Fasano, Alessandro Tognetti, Antonio Marki, Sandro Vibot e Riccardo Brush. Il Resp Festival non è solo un evento musicale, ma anche un’occasione per esplorare nuove forme di espressione artistica e per abbattere le barriere, connettendo presente e futuro, radici e prospettive. Inoltre il Festival si propone come un punto di incontro per artisti e pubblico, promuovendo la condivisione, il movimento e l’ascolto.
Il festival è accessibile con un unico biglietto Full Pass da € 69,90 per tutte le cinque serate, acquistabile online su Xceed. Non manca anche l’aspetto della solidarietà e della cultura. In collaborazione con Admo (Associazione Donatori Midollo Osseo), il Festival avrà anche una componente solidale, con l’obiettivo di sensibilizzare e promuovere il valore del dono del midollo osseo. Ogni serata vedrà anche la presentazione di libri da parte di giovani scrittori emergenti. Inoltre il festival sarà molto attento anche alla sicurezza e garantirà un’esperienza senza preoccupazioni, grazie ai servizi navetta gratuiti per raggiungere la location in totale tranquillità.
Milano, 2 mar. (Adnkronos) - Altra sconfitta per il Milan di Conceicao con una diretta concorrente per l'Europa. Dopo il ko con il Bologna nel recupero, i rossoneri escono sconfitti da San Siro anche con la Lazio, per 2-1 in una gara folle, decisa al 98' da un calcio di rigore realizzato da Pedro, dopo che Chukwueze aveva riportato in parità la sfida pareggiando il gol di Zaccagni, con i rossoneri in dieci uomini per l'espulsione di Pavlovic. I rossoneri scivolano così in nona posizione, superati anche dalla Roma, mentre la Lazio sale a 50 punti e si riprende la quarta posizione, ai anni della Juventus impegnata domani con il Verona, e si avvicina all'Atalanta terza a 55 punti.
Conceiçao per la sfida interna, con la Curva che è entrata a gara iniziata per protesta, conferma nove undicesimi della formazione scesa in campo dal 1' contro il Bologna. Inserisce Gabbia al posto di Thiaw al centro della difesa e Pulisic per Joao Felix nel tridente offensivo con Leao e Reijnders alle spalle di Gimenez. In mezzo al campo Musah e Fofana, sugli esterni Jimenez a destra con Theo Hernandez a sinistra. Baroni, invece, deve rinunciare a Castellanos e Romagnoli e in difesa schiera Gila con Gigot davanti a Provedel. Sugli esterni Marusic e Nuno Tavares, con Rovella e Guendouzi a centrocampo, mentre in avanti Tchaouna, con Dia, Isaksen e Zaccagni a supporto.
La Lazio parte subito forte e al 3' Rovella serve Dia che scatta sul filo del fuorigioco ma viene fermato da intervento prodigioso di Maignan. Un minuto dopo sul cross di Nuno Tavares dalla sinistra, svetta Dia di testa ma non inquadra la porta. Poi al 6' tocca a Nuno Tavares a rendersi pericoloso ma Pavlovic sbroglia. Al 12' Isaksen fa partire un violento sinistro dalla distanza, ma la palla sfiora il palo alla sinistra di Maignan. Il Milan reagisce nel momento in cui i tifosi rossoneri fanno il proprio ingresso in curva Sud ma non basta. Al 19' Leao viene pescato al limite dell'area laziale e imbuca per Reijnders, bravo nel centrare la porta in caduta ma non abbastanza da impensierire Provedel. La Lazio riprende ad offendere e al 28' passa: Tchaouna tocca per Marusic che impegna Maignan con il destro in diagonale, sulla respinta arriva Zaccagni che insacca in spaccata con il sinistro per l'1-0. Dopo la rete ospite, Conceiçao si gioca subito la carta Joao Felix per provare a dare la scossa decisiva, ma nel finale Zaccagni va vicinissimo al raddoppio con un destro al volo, fuori di un soffio.
A inizio ripresa il tecnico rossonero fa uscire Jiménez per mettere dentro Walker, ma la Lazio continua a rendersi pericolosa. Al 50' ennesima ripartenza con Nuno Tavares che serve Gigot al centro dell'area ma il difensore biancoceleste calcia debolmente e Maignan blocca. Al 51' Pulisic serve Joao Felix che sii gira e calcia di prima intenzione ma manda di poco sopra la traversa. La gara è aperta e la Lazio al 54' sfiora il bis con Zaccagni: Guendouzi serve il compagno che rientra sul destro e calcia a giro ma manda la palla fuori di pochissimo. Al 55' ancora Joao Felix protagonista, poi la palla arriva a Pulisic che non trova la porta da pochi passi.
Il Milan rischia, si sbilancia e la squadra di Baroni affonda ancora al 58' con Gila che in girata di sinistro spedisce il pallone sopra la traversa. La partita si complica ulteriormente per il Milan al 67': recupero di Guendouzi al limite della propria area e palla per Isaksen che scappa via a Pavlovic che lo stende e per l'arbitro Manganiello è rosso diretto per il giocatore serbo. Milan in dieci e sotto di un gol. Al 71' punizione tagliata di Nuno Tavares dalla sinistra, Maignan non ci arriva e Theo Hernandez rischia l'autorete, poi la difesa rossonera spazza via.
il Milan con le poche energie rimaste prova a raggiungere il pari che arriva un po' a sorpresa all'84' con Chukwueze che di testa trova l'angolino sul cross morbido di Leao sul secondo palo per l'1-1. I rososneri provano anche a vincerla ma la Lazio non ci sta e all'86' Dia serve Isaksen che controlla al limite e calcia in porta col destro, ma Maignan non si fa sorprendere e blocca. Finale concitato che si decide al 98' grazie a Pedro che realizza su calcio di rigore il gol vittoria del 2-1 dopo l'on field Review con Manganiello che assegna il penalty per il fallo di Maignan su Isaksen. Pedro glaciale spiazza il francese e stende il Milan, alla terza sconfitta consecutiva e in piena crisi con Conceicao sempre più in bilico.
Roma, 2 mar (Adnkronos) - "Il vertice di Londra di oggi ha dimostrato che la posizione assunta da Giorgia Meloni in questi giorni è ampiamente condivisa, da Starmer a Tusk a molti altri leader. Quando Giorgia Meloni dice che le due sponde dell’Atlantico non devono dividersi, questo è proprio uno dei messaggi forti che arrivano da Londra". Lo ha detto l’europarlamentare di Fratelli d’Italia- Ecr Carlo Fidanza, capo delegazione del partito a Bruxelles, intervenendo in studio a '4 di sera' su Rete 4.
"E’ importante la posizione espressa dal premier italiano per cui vanno tenuti uniti gli USA e l’Europa. Da 75 anni la Nato garantisce la sicurezza dell’Europa, quindi prima di ragionare di soluzioni anche un po’ avventuristiche fuori dalla cornice Nato, occorre fare ogni sforzo possibile, tenendo gli Usa dentro al tavolo della trattativa sull’Ucraina -ha aggiunto-. Senza la deterrenza militare della Nato, e quindi senza la presenza degli Usa, è impensabile dare reali garanzie di sicurezza all’Ucraina. Una sicurezza che l’Europa da sola non è in grado di garantire e che serve anche per evitare che la Russia faccia ciò che ha fatto con l’Ucraina con altri Stati europei”.
Roma, 2 mar. - (Adnkronos) - Appello per una giovane 26enne di origini siriane scomparsa da Latina ieri. Ayah Krdi, si legge su post dell'associazione Penelope Lazio (associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse Odv), "si è allontanata da casa per recarsi alla casa di riposo Sasn Francesco di Latina. Era a piedi, con il cellulare. Potrebbe trovarsi presso stazioni di autobus o metro".
L'appello continua dando una descrizione della giovane: "è alta 1,64 mt, corporatura media, indossa un velo nero come copricapo, una giacca di colore nero e grigio, jeans, scarpe da ginnastica bianche ed ha una borsa nera. Potrebbe avere bisogno di aiuto", chiude l'appello dell'associazione pubblicando anche una foto della giovane.
Roma, 2 mar. - (Adnkronos) - L'ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino ha chiesto di poter accedere al regime di semilibertà. Nel 2017 era stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per il naufragio della nave da crociera avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 gennaio 2012 davanti all'isola del Giglio provocando 32 vittime e centinaia di feriti. Schettino ha maturato il termine che gli consente di accedere alle misure alternative al carcere avendo già scontato la metà della pena. L'udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma si terrà martedì 4 marzo.
Schettino, recluso nel carcere romano di Rebibbia, beneficia attualmente di 45 giorni all'anno di permessi ottenuti grazie alla buona condotta mantenuta nel carcere romano. L'ex comandante della Costa Concordia tre anni fa aveva ottenuto la possibilità di lavorare in carcere e gli era stato affidato il compito di contribuire alla digitalizzazione dei documenti giudiziari della strage di Ustica e della strage di via Fani a Roma con il sequestro e l'omicidio dello statista democristiano Aldo Moro.
Una delle persone sopravvissute al naufragio, Vanessa Brolli, 27 anni, che era in vacanza sulla Costa Concordia con i fratelli, i genitori e altri parenti per festeggiare i 50 anni di matrimonio dei nonni, ha dichiarato una volta appreso la notizia: "Dispiace sapere che potrebbe tornare a casa. Schettino deve pagare per le sue colpe. A prescindere dalla decisione dei giudici siamo certi che Schettino vivrà il resto dei suoi giorni con addosso il peso di questa tragedia. Questa è la più grande pena per lui. Anche se dovesse uscire dal carcere, dovrà convivere con questa colpa per tutta la vita".
Roma, 2 mar (Adnkronos) - "Ursula Von der Leyen dice che è 'urgente riarmare l’Europa', Macron parla di 'invio di truppe' in Ucraina. Per la Lega invece è urgente lavorare per la Pace. L’Occidente intero ha il dovere di evitare a tutti i costi il rischio di una Terza Guerra Mondiale, bene fa il governo italiano a cercare di tenerlo unito e il presidente Trump, con responsabilità e pragmatismo, a spingere tutti in questa direzione". Lo scrive la Lega in un post sui social.
Roma, 2 mar. (Adnkronos) - "We stand with Ukraine! Continuiamo a sostenere con forza e decisione, a livello nazionale ed europeo, la resistenza del popolo ucraino. Continuiamo a lavorare per una pace giusta, sicura e duratura. Continuiamo a difendere la libertà, i diritti, la democrazia”. Lo ha scritto su X Piero De Luca, deputato e capogruppo Pd in commissione Politiche europee, che ha partecipato alla manifestazione a sostengo dell’Ucraina che si è tenuta a Roma.