E se tra il neofita Terence Blanchard, il lanciatissimo Ludwig Goransson e il sempiterno Alexandre Desplat la spuntasse il meritevole Nicholas Britell? Combattuta e appassionante la gara per l’Oscar per la Miglior Colonna Sonora Originale 2019, una gara che potrebbe davvero riservare un’inattesa sorpresa. Probabile che sia la partita più aperta di tutte tra le caselle del’Academy. Il favorito, almeno per i bookmakers, è il compositore svedese Ludwig Goransson candidato in un film fieramente all black come Black Panther.
Il soundtrack del film diretto da Ryan Coogler ha un’impronta energica e vitale, un intreccio continuo tra una base ritmica di potenti percussioni africane a cui si mescolano in diversi brani archi sontuosi e corni regali alla John Williams, fino ad una serie di campionature elettroniche che sanno di trascinante contemporaneità applicate al grande schermo. Un gran bel lavoro da parte del produttore di Childish Gambino/Donald Glover che qualifica in modo pop il neo franchise Marvel verso una nuova strada di sequel possibili, magari un tantino più appassionanti di questo.
Un altro serio concorrente all’Oscar si chiama Terence Blanchard. Lo scandalo è che il 56enne trombettista di New Orleans, apprendistato di lusso nell’orchestra di Lionel Hampton e con Art Blakley e i suoi Jazz Messengers, arrivi solo oggi alla sua prima nomination. Blanchard ha composto le colonne sonore di tutti i film di Spike Lee. Ricordiamo con piacere quella di Inside Man che ha parecchio da condividere nel tema principale con quella di Blackkklansman (si veda il pezzo Blood and Soil punteggiato da accelerazioni da marcetta oltre i riff di chitarra). Soprattutto per questa tonalità apparentemente giocosa ma sotterraneamente intorbidita da un alone di amarezza che permea il Main Theme, il Ron’s theme e soprattutto il White Power theme. L’eclettica e fluida suite di Blanchard fa respirare magicamente un altro di quei film dell’ultima stagione che però non ci ha convinto del tutto.
Non ci convince per niente, invece, la colonna sonora versione 2019 di Mary Poppins firmata da Marc Shaiman, uno dei più anonimi, insicuri, claudicanti richiami orchestrali alla matrice magnifica che fu di Richard e Robert Sherman, tutto scivoloso sugli specchi di un raffronto impraticabile, con linee melodiche senza capo ne coda (ascoltate Magic Papers, per dire) che creano soltanto confusione percettiva.
Alexandre Desplat, invece, dieci nomination agli Oscar e due statuette vinte per The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson e l’anno scorso per La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, torna in cinquina con un’elegante e minimale partitura alla Giapponese per l’Isle of dogs sempre di Anderson. In alcuni tratti spiritosa, in altri sorniona, in altri ancora con echi spudoratamente alla Morricone, la colonna sonora disegnata da Desplat è come spesso accade con i film di Anderson totalmente amalgamata nella fittissima organicità della messa in scena. Di sicuro Desplat non parte tra i favoriti quest’anno, anche se rimane uno dei più grandi compositori contemporanei.
Per ultimo abbiamo invece tenuto quello che ci sembra il vincitore assoluto tra i nominati di quest’anno. Il compositore è il 38enne newyorchese Nicholas Brittell che con i suoi ieratici e struggenti brani tutti intrisi di archi che vibrano fino nelle viscere in Se Beale Street potesse parlare trascina letteralmente testo e drammaturgia verso una catarsi definitiva. Ascoltatevi il brano Eden (Harlem) o ancora una variazione sul tema come Encomium, tenete a mente questa dolente partitura di note basse che ricorda le migliori arie di Dvorak e non potrete che assicurare a Brittell (un altro “bianco” per un film orgogliosamente black) l’Oscar 2019.