Sette i personaggi dichiaratamente gay o bisessuali che vanno a premi, tra cui due che rischiano realmente di vincerlo
Agli Oscar 2019 i personaggi LGBTQ sono sovra rappresentati e finalmente appaiono in film in cui l’omosessualità non viene affrontata in modo patetico. Parola di Bret Easton Ellis. In una disamina precisa, oculata, e molto ironica pubblicata su Hollywood Reporter, il celebre autore di Glamorama legge così le nomination agli Oscar 2019 in chiave LGBTQ. Sette i personaggi dichiaratamente gay o bisessuali che vanno a premi, tra cui due che rischiano realmente di vincerlo.
Intanto elenchiamoli tutti: Rami Malek per il Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody tra gli Attori protagonisti; Olivia Colman per The favourite e Melissa McCarthy per Copia originale tra le Attrici protagoniste; Mahershala Ali in Green Book e Richard E. Grant per Copia Originale tra gli Attori non protagonisti; Rachel Weisz e Emma Stone per The Favourite tra le Attrici non protagoniste. “Se il 4,5% degli americani preferisce i partner dello stesso sesso – tra cui anch’io – (…) e il 13% della popolazione statunitense è afroamericana mentre il 18% è latinoamericana (…) avere sette personaggi in nomination su 20 significa che per una volta siamo sovra rappresentati”, inizia scherzosamente il suo intervento Easton Ellis.
Lontani sembrano essere i tempi “di un agonizzante Tom Hanks che muore di Aids in Philadelphia” (1993), dallo “straziante romanzo proibito” di un film “sulla vergogna che finisce con la morte” come Brokeback Mountain (2005), o del Sean Penn/Harvey Milk “martire gay, assassinato per la sua sessualità” in Milk (2008). Questo accade perché i film con i sette personaggi in nomination non riguardano l’omosessualità come stigmata evidente. “Il punto non è la malattia o il coming out. Sofferenza e vittimizzazione non sono al centro del racconto. L’ideologia è messa da parte rispetto alla normale narrazione – spiega lo scrittore – La sessualità di un personaggio non diventa l’unica patetica ragione che fa esistere queste opere. E questo nei film americani è un aspetto parecchio nuovo”.
L’autore di una sceneggiatura atipica come The Canyons (2003), film diretto da un irregolare come Paul Schrader, ricorda che già nel 2018 con l’affermazione di Call me by your name si era entrati nell’era “post-gay”, una sorta di normalizzazione della presunta differenza, in cui l’essere gay all’interno di una rappresentazione cinematografica non prevedeva più sofferenza, vittimismo o punizione, a favore di una storia d’amore senza tempo. Perfino il vincitore dell’Oscar 2017, Moonlight, uscito in un momento in cui si era tristemente riaffermata la violenza contro gli afroamericani “si era trasformato in un film sull’identità nera più che sull’identità gay quale era”.
Easton Ellis conclude poi affermando che Rami Malek e Mahershala Ali vinceranno molto probabilmente l’Oscar. “Bohemian Rhapsody è un film ampiamente post-gay perché Freddie è un titano, un dio del rock, un cantante imponente, e non viene definito solo attraverso la sua sessualità”. Discorso differente, ma con risultato identico, anche per il personaggio di Don Shirley co-protagonista di Green Book: “Dal momento che viene raccontata la storia di Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) il film è in grado di prendere alla leggera entrambi gli uomini nel loro viaggio verso l’accettazione e l’amicizia, ed è l’aspetto che rende il film così amabilmente divertente”.