Cinema

Parlami di te, il cinema francese dovrebbe fare un monumento a Fabrice Luchini

Maschera borghese, apparentemente spocchiosa, interprete di personaggi spesso sofisticati e tignosi, l'attore ha attraversato quasi mezzo secolo di commedie romantiche, film drammatici e film d’essai, e i set, tra gli altri, di Eric Rohmer, Claude Lelouch, François Ozon e Bruno Dumont. E tutte le volte, quando è assoluto protagonista, lascia incredibilmente il segno

di Davide Turrini

Il cinema francese dovrebbe fare un monumento a Fabrice Luchini. Maschera borghese, apparentemente spocchiosa, interprete di personaggi spesso sofisticati e tignosi, Luchini ha attraversato quasi mezzo secolo di commedie romantiche, film drammatici e film d’essai, e i set, tra gli altri, di Eric Rohmer, Claude Lelouch, François Ozon e Bruno Dumont. E tutte le volte, quando è assoluto protagonista, lascia incredibilmente il segno. Lo è stato per un film senza eccessi formali come La corte di Christian Vincent, per il quale ha vinto meritatamente un Leone d’Oro a Venezia come miglior attore nel 2015. Lo è anche per questo Parlami di te (in originale Un homme pressé), dal 21 febbraio nelle sale italiane grazie a Bim.

Il film diretto da Hervé Mimran non è nulla di trascendente, ma il punto è che Luchini lo ingloba, lo fagocita, e lo fa girare tutto su di sé. O meglio attorno ad Alain, un altezzoso potente e strafottente amministratore delegato di una casa automobilistica, dedito totalmente al lavoro manageriale, senza mai riposarsi. La tragedia è telefonata, ma il risultato è meschino. Un forte ictus che ne lascia integro il fisico, ma che ne azzoppa parola e linguaggio. Abituato a dirigere team di manager, a dare lezioni di ogni tipo di professionalità ad alto livello, Alain si ritrova a dire fischi per fiaschi. Quello che pensa non corrisponde più ai termini che pronuncia con la bocca. Buongiorno diventa buonanotte (in originale è un arrivederci/au revoir molto più comicamente delicato), giornale è giornate, cercare cerchiate, lancetta pancetta, cosa cozza, e via così.

Figuriamoci partecipare al lancio di una nuovissima auto elettrica al salone dell’auto di Ginevra (Genoveffa) da lui fortemente voluta. Alain viene licenziato e pur aiutato da una ortofonista dell’ospedale il ritorno alla normalità, anche solo per non perdersi a 50 metri da casa, è lungo e faticoso. Parlami di te vive dell’esuberante performance di Luchini. Un attore che per venti minuti sembra uno squalo che si mangia il mondo per traverso e poi per un’altra ora di film riesce a mostrarsi con uno sguardo vitreo, vuoto, apatico e tentennante, perfino claudicante, in modo così leggero e talentuoso da applausi. Diverse testate francesi segnalano poi che Luchini, in  questo involontario umoristico gramelot dovuto all’handicap mescola e confonde ogni singola riga delle sue battute, mimando con grande serietà, da istrione teatrale qual è da decenni in Francia, il linguaggio gergale del “verlan” con sillabe ribaltate in uso nelle banlieu parigine. Insomma, se da un lato Mimran prova a costruire fugaci sottotrame (la figlia trascurata, la dottoressa che lo cura in cerca della madre adottiva), per far funzionare Parlami di te si passa sempre dal via: il Luchini maestosamente incapace di parlare. Hollywood Reporter segnala che potrebbe starci un remake statunitense con Bill Murray o Steve Martin protagonisti. Tutto vero, ma Luchini è davvero un altro pianeta.  Alain è ispirato all’ex CEO Peugeot-Citroen, Christian Streiff, che descrisse la sua malattia disabilitante in un libro intitolato J’etais un homme pressé.

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