LAND di Babak Jalali. Con Rod Rondeaux, Florence Klein, Wilma Pelly. Italia, Francia, Olanda, Messico, Qatar 2017. Durata: 111’. Voto: 3/5 (AMP)
“Ho conosciuto una ragazza una volta, l’ho riempita di birra e di promesse”. Ray Denetclaw è un uomo semplice, si è disintossicato dall’alcol ed incarna alla perfezione la resilienza di chi abita ancora la riserva indiana di Prairie Wolf come, appunto la sua famiglia. Si tratta di superstiti dell’anima in una no-man’s landdimenticata da Dio e dagli uomini, soprattutto. Quando il figlio minore dei Denetclaw muore da sottufficiale in Afghanistan fra la comunità indiana e quella degli americani bianchi si accende una sfida (reale e simbolica) sul destino del corpo del giovane, che è solo l’ultima ferita di un dolore mai attenuato se non sotto l’effetto dell’alcol.
Film radicale nei suoi tempi lunghi e nei dialoghi rarefatti, Land racconta una tragedia universale su uno sfondo territoriale particolarissimo, panorama dagli immaginari che rimandano a un romanticismo western d’altri tempi. Ma Land è tutt’altro che ancorato al passato perché è il sintomo di un malessere contemporaneo, della tentazione umanissima di perdere la coscienza di sé, e dunque del bene e del male. Se resta l’orgoglio patriae, questo è grazie alla Grande Madre, Mary, la capostipite della famiglia, assunta quale metonimia di un popolo che – forse – può ancora sperare in una dignità purché conquistata da ciascun individuo della comunità. Opera limitrofa al cinema del reale, quella dell’iraniano-londinese Jalali non può passare inosservata e sarebbe stata notevolissima con un ritmo più sostenuto. Presentata a Berlinale 2017, Berlino 2017 e co-prodotta da ben 7 Paesi diversi, ad esclusione di quello in cui è ambientata, gli Stati Uniti.