Finora i dipendenti precari che lavorano a tempo determinato nelle Pa tramite contratti a progetto o assegni di ricerca non avevano chance di essere assunti in pianta stabile. Il tribunale ha però accolto il ricorso di una ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che era stata esclusa dal piano di assunzioni dell'ente
Grazie a una sentenza del Tar del Lazio sarà più facile per i precari della pubblica amministrazione ottenere un contratto a tempo indeterminato. Risorse permettendo. Il 18 febbraio il Tribunale amministrativo ha infatti accolto il ricorso presentato da una ricercatrice precaria dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) che era stata esclusa dalla procedura di stabilizzazione di 76 unità di personale adottata dall’ente. Una vittoria storica che apre uno scenario, inedito finora, per tutti i dipendenti precari che lavorano a tempo determinato nelle Pa tramite contratti a progetto o assegni di ricerca.
Finora erano di fatto esclusi dalle procedure di stabilizzazione previste dalla riforma Madia che sancisce l’obbligo per gli enti pubblici, previa domanda del lavoratore, di stabilizzare il personale che al 31 dicembre 2017 “abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”. “Questo perché le Pubbliche amministrazioni – spiega Marco Tavernese, legale della ricorrente – di norma emanano bandi per la stabilizzazione dei precari che prevedono, come condizione principale, l’aver lavorato alle proprie dipendenze con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per almeno tre anni, escludendo di fatto gli altri precari assunti con tipologie contrattuali di lavoro flessibile quali i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e gli assegni di ricerca”.
La ricercatrice che ha presentato il ricorso, alla data indicata dalla riforma Madia come ultimo termine utile per poter fare domanda di stabilizzazione, aveva maturato un’anzianità di servizio di 3 anni, in qualità di titolare di assegno di ricerca, e di oltre un anno in qualità di ricercatrice assunta con contratto di lavoro subordinato, superando quindi di gran lunga i tre anni richiesti. Anzianità che però l’Infn non ha ritenuto sufficiente respingendo la domanda di stabilizzazione della ricercatrice.
“La riforma Madia – prosegue Tavernese – è stata sempre interpretata in modo restrittivo da tutti gli enti pubblici i quali hanno escluso, dall’anzianità utile ai fini della stabilizzazione, i periodi di lavoro espletati mediante tipologie di rapporti di lavoro flessibile, in tal modo impedendo la stabilizzazione dei titolari degli assegni di ricerca. E’ ciò che ha fatto anche l’Infn impedendo alla mia cliente di essere assunta a tempo indeterminato”. Una lettura della riforma che ha penalizzato in questi anni soprattutto i precari altamente specializzati come i ricercatori che spesso sono assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con assegni di ricerca.
Ora però il Tribunale amministrativo con questa sentenza ha condannato l’Infn a consentire ad una lavoratrice, con contratto di ricercatore di III livello, di partecipare alla procedura di stabilizzazione e quindi di essere assunta a tempo indeterminato. “Un precedente giurisprudenziale importante – sottolinea il legale – che sancisce che l’anzianità di servizio valutabile per l’assunzione a tempo indeterminato è anche quella acquisita tramite gli assegni di ricerca”.