Da un lato Cassa Depositi e Prestiti promette di aumentare la quota in Telecom nonostante le pesanti perdite che ha finora generato l’investimento. Dall’altro sostiene il piano strategico dell’ex monopolista pubblico che vorrebbe vendere la controllata dei canali in digitale terrestre (mux), Persidera, ad F2i. E cioè al fondo per le infrastrutture che vanta fra i suoi più importanti sponsor proprio Cdp. L’intreccio di interessi è complesso, ma gli fa da sfondo la lineare volontà politica del governo di sviluppare fibra con i soldi della Cdp, cassaforte dei risparmi postali degli italiani. La strada da percorrere è però lunga e tormentata. Nasconde insidie che rischiano di pesare sui conti pubblici e di conseguenza su tutti i contribuenti, come ha spiegato il professor Luigi Zingales a Il Fatto Quotidiano.
Telecom infatti non è più la gallina dalle uova d’oro del passato. Lo confermano anche i numeri del piano industriale 2019-2021 presentato dall’amministratore delegato Luigi Gubitosi e approvato con l’astensione dell’ex ad, Amos Genish, e del rappresentante di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine. Secondo le stime del management, nel 2019 la società registrerà ricavi in calo sul mercato italiano, il più importante per il gruppo. Per il biennio 2020-2012 è prevista una lieve crescita, ma non per questo l’azienda staccherà laute cedole ai soci come in passato. Inoltre su Telecom pesano i debiti, che, secondo il piano, dovrebbero scendere di 3 miliardi nel 2021. Intanto però l’azienda ha necessità di progettare il futuro. Non a caso, oltre ad aver comunicato le trattative esclusive in corso per Persidera con il fondo F2i, Telecom ha anche annunciato una partnership con l’eterno rivale Vodafone per lo sviluppo congiunto della rete mobile. Inoltre, l’ex monopolista pubblico ha svelato di aver avviato le “trattative con Open Fiber (controllata da Cdp e da Enel, ndr) per valutare tutte le opzioni possibili inclusa una completa combinazione delle reti fisse”. Un progetto, quest’ultimo, che risponderebbe ai desiderata del governo gialloverde e soprattutto del vicepremier M5S, Luigi Di Maio.
Nel dettaglio, il piano industriale di Gubitosi mette insieme i due operatori più rilevanti del mercato italiano della telefonia mobile ponendo un problema sul fronte della concorrenza: Tim e Vodafone sono infatti i due massimi investitori nel 5G. Sulla nuova tecnologia wireless hanno scommesso 2,4 miliardi ognuna per assicurarsi le licenze con l’obiettivo di accaparrarsi una fetta importante del mercato. Ma entrambi i gruppi sanno bene che, in un contesto di bassa redditività, bisogna fare di necessità virtù condividendo investimenti e infrastrutture. “Questo progetto permetterebbe una più rapida implementazione della tecnologia 5G su un’area geografica più ampia e ad un costo inferiore – ha spiegato una nota congiunta delle due aziende -. Vodafone e Tim valuteranno la fattibilità tecnica e commerciale di installare congiuntamente i propri apparati attivi 5G nel Paese, incluso in alcune grandi città dove ciascuna società potrebbe voler mantenere flessibilità strategica e assicurare la propria capacità di rispondere alle esigenze dei rispettivi clienti”.
Inoltre, i due gruppi hanno spiegato che intendono anche allargare l’accordo alle “infrastrutture passive di rete” valutando una “potenziale operazione di aggregazione”. Che cosa significa esattamente? In pratica, le due aziende stanno studiando le nozze fra le rispettive torri di trasmissione sotto il cappello di Inwit, controllata oggi al 60% da Tim. Risultato dell’operazione: Inwit diventerebbe il leader assoluto delle torri di telefonia limitando gli spazi di crescita nel 5G di Ei Tower e Rai Way, che hanno al momento una prevalenza di torri di trasmissioni video. L’intesa su Inwit, apprezzata dal mercato, rafforzerebbe quindi sia Vodafone che Telecom la quale ha anche annunciato “la realizzazione di iniziative di taglio dei costi già identificate che porteranno a un decremento dell’8% sulla base costi aggredibile” come ha evidenziato la nota relativa al piano industriale 2019-2021.
Intanto, mentre va avanti il progetto 5G, Telecom dovrà anche avanzare nella fibra. Per questo Gubitosi ha precisato che il gruppo “crede nell’opportunità di creare valore che può portare la rete unica ed ha per questa ragione aperto un tavolo di confronto con Open Fiber per esplorare tutte le opzioni possibili, inclusa una completa combinazione societaria”, come si legge nella nota stampa. Il manager non ha però svelato quali siano esattamente i progetti e se Telecom abbia intenzione di separare la rete dai servizi di telefonia: “Vorremmo creare qualcosa di molto forte, se possibile una vera combinazione di business con Open Fiber (controllata da Cdp e da Enel, ndr)” ha dichiarato Gubitosi nella conferenza con gli analisti spiegando che tutte le opzioni sono aperte. Per il numero uno di Telecom esistono “50 sfumature di rete”. Fra cui anche la cessione del pacchetto di controllo dell’infrastruttura, come il manager ha spiegato alla comunità finanziaria. Per il momento, ”l’azienda prosegue il lavoro con i propri advisor finanziari per esplorare l’opportunità di una rete unica e massimizzare il valore dell’infrastruttura di rete fissa di Tim – ha chiarito la nota stampa -. La convergenza delle due reti porterebbe vantaggi a tutti gli stakeholder: le aziende coinvolte, il mercato, gli azionisti e il paese intero, che beneficerebbe di un’infrastruttura veloce e all’avanguardia”. Una rete che sarà in buona parte finanziata anche dalla Cassa Depositi e Prestiti e forse anche dagli utenti via aumento in bolletta, ma che non è detto resterà poi sotto il controllo pubblico.