La critica vuole Olivia Colman, il pubblico Lady Gaga e la giustizia Glenn Close. Che, con 7 nomination all’Oscar mai vinto, probabilmente e meritatamente trionferà per il suo toccante ruolo di moglie segregata (ma geniale) in The Wife di Björn L Runge. A completare la cinquina, la candidatura da protagoniste per l’absolute beginner messicana Yalitza Aparicio e la pur brava Melissa McCarthy è già un trofeo.
Se sul fronte delle “leading actress” questi sono i valori e i pronostici in campo, su quello delle “supporting” la partita è leggermente più aperta, benché il Golden Globe e svariati premi della critica diano come favorita Regina King per If Beale Street Could Talk (Se la strada potesse parlare) di Barry Jenkins, peraltro l’unica nera fra le interpreti candidate.
Le sue altisonanti contendenti – tutte eccellenti di carriera e performance – rispondono ai nomi di Amy Adams, Emma Stone e Rachel Weisz, con l’outsider dal Messico Marina de Tavira.
Da un quadro complessivo, le dieci candidate dall’Academy per la 91ma edizione dei suoi Awards si caratterizzano per la provenienza americana (6 statunitensi e 2 messicane) a cui si aggiungono solo due britanniche, Colman e Weisz che, unendosi alla Stone, formano il trio di The Favourite di Yorgos Lanthimos, l’opera col maggior numero di nomination (10) pari a Roma di Alfonso Cuaròn.
È infatti il favoritissimo cineasta di Città del Messico ad aver trascinato le sue due interpreti verso le cinquine, con maggior stupore per la 25enne indio Aparicio (che in Roma veste i panni della tata nonché donna di servizio Cleo) che non è mai stata davanti a una macchina da presa, mentre la compatriota de Tavira (nei panni donna Sofia, alias la madre del regista) è una popolare attrice in tutto il centro e Sudamerica.
Mescolando le carte fra leading e supporting, se le probabilità di vittoria sono ridotte al minimo per le due latine, si diceva, altrettanto rarefatte sono quelle dell’inedita accoppiata Stone-Weisz (entrambe già vincitrici di Oscar) nei panni delle fameliche cortigiane de La favorita, della vigorosa falsaria McCarthy – suprema in Can You Ever Forgive Me? (Copia originale) di Marielle Heller – , della perfezionista Adams quale maligna dark lady in Vice di Adam McKay ed – ebbene sì – della top of pops Lady Gaga.
La sua pur seducente ed esplosiva performance in A Star is Born di Bradley Cooper (da par suo candidato da attore protagonista) ha il sapore più un trend topic in pasto ai Social Media che non di profonda qualità attoriale. Per quanto perfettamente “in parte” (e come potrebbe essere altrimenti?) la signora Germanotta funziona per la sapiente simbiosi creata grazie alla chimica con il suo partner/regista sul set (al punto che sterili gossip da last second che li vede persino coinvolti in un flirt..) che non di per sé.
In assoluta autonomia, invece, si elevano su tutte sia la veterana Close che la Colman, quest’ultima alla sua prima candidatura che sarebbe bellissimo vedere trasformata in Oscar per l’interpretazione della dolente Queen Anne, una vera freak malata, gonfia e insicura che si porta addosso la maschera dell’inadeguatezza di un Potere ingombrante. Quanta modernità il ruolo che Lanthimos le ha costruito addosso: non ci fosse di mezzo la 71enne e amatissima Glenn, la statuetta sarebbe sua.