Chi taglia la coda a un cane commette il reato di maltrattamento di animali e rischia la condanna della reclusione da 3 a 18 mesi o della multa da 5.000 a 30.000 euro.

Lo ha ribadito, con una sentenza appena pubblicata (n. 4876 del 31 gennaio 2019), la terza sezione penale della Cassazione chiamata ad occuparsi della vicenda di un cane di razza meticcia cui, a Crotone, il proprietario aveva tagliato la coda “per crudeltà e senza necessità“; provocando, quindi, “un’apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell’animale, determinando una menomazione funzionale dello stesso“.

Più in particolare, dalla sentenza risulta che l’imputato deteneva all’interno di una porcilaia di sua proprietà, piena di escrementi, due cagnolini di razza meticcia (peraltro “malnutriti“), uno dei quali presentava l’amputazione della coda avvenuta di recente.

Comportamenti che, secondo la Cassazione, integrano il reato di maltrattamento di animali (art. 544 ter c. p. per il taglio della coda) e quello di abbandono, che ricorre quando gli animali sono detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze (art. 727, comma 2, c. p., punibile con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro).

La sentenza è chiarissima e non necessita di particolari spiegazioni.

Giova, tuttavia, aggiungere che, ovviamente, la decisione si applica anche al taglio delle orecchie e che, di solito (anche se non nel caso di specie), questi comportamenti criminosi sono finalizzati ad una “valorizzazione” estetica degli animali che acquistano valore sul mercato.

L’anno scorso, la Procura di Milano, infatti, ha rinviato a giudizio, sempre per maltrattamenti, un avvocato e un veterinario imputati di aver tagliato i lobi delle orecchie ad un american staffordshire terrier per vincere i concorsi di bellezza, disattendendo la giustificazione che il taglio era dovuto a motivi sanitari.

Del resto, è dal 13 novembre 1987 che gli Stati europei hanno firmato la Convenzione europea di Strasburgo per la protezione degli animali da compagnia, ratificata dall’Italia solo nel 2010, la quale vieta qualsiasi amputazione sugli animali domestici, realizzata al solo scopo di modificarne l’aspetto o comunque per finalità non curative; elencando, tra l’altro, il taglio della coda, il taglio delle orecchie, la recisione delle corde vocali e l’asportazione delle unghie e dei denti, salva la presenza di una necessità terapeutica adeguatamente dimostrata da un veterinario, nell’interesse di un singolo animale. Aggiungendo opportunamente che ” gli interventi nel corso dei quali l’animale proverà o sarà suscettibile di provare significativi dolori debbono essere effettuati solamente in anestesia e da un veterinario o sotto il suo controllo“; e che “gli interventi che non richiedono anestesia possono essere praticati da una persona competente in conformità con la legislazione nazionale”.

Non a caso, sempre la Cassazione ha stabilito nel 2017 che commette il reato di maltrattamento di animali anche colui che somministra medicinali ad un cavallo senza prescrizione medica ed al solo fine di superare quella che altrimenti sarebbe stata la sua impossibilità di partecipazione ad una gara (sent. 5235/2017). E già su questo blog abbiamo dato notizia della sussistenza del reato anche quando si usano, a fini coercitivi “antiabbaio“, collari elettrici.

Un’ultima osservazione: so bene che oggi, nel grave momento storico che stiamo vivendo, con  migliaia di persone che muoiono per fame, per cambiamenti climatici e per cause violente, può sembrare un controsenso occuparsi dei maltrattamenti di animali cui viene tagliata la coda.

Ma è mia ferma convinzione che, fatte ovviamente le debite proporzioni, appare ogni giorno più evidente che la sopravvivenza del genere umano è strettamente collegata con l’affermarsi di una nuova cultura ispirata alla armonia ed alla corretta convivenza con tutte le specie viventi e con l’ambiente in cui viviamo.

E per fortuna questo lo hanno capito i tanti giovani che, in tutto il mondo, senza bandiere di partito, stanno scendendo in piazza sempre più numerosi per pretendere giustamente che i nostri governanti si accorgano finalmente del baratro verso cui stiamo correndo a causa di un tipo di sviluppo basato sulla distruzione delle risorse naturali, sulla violenza e sulla diseguaglianza. L’appuntamento è per il 15 marzo.

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