Daniela e gli altri
Sono arrivati in Italia separatamente quattro o cinque mesi fa, non si conoscevano, ma oggi vivono tutti nello stesso stabile, grazie all’accoglienza di Carmen, una donna venezuelana in Italia da quindici anni e con compagno italiano. Vivono in una casa che a fatica li ospita tutti e che – mi dice Carmen – “speriamo di poter restaurare presto”. Arrivano da città diverse del Venezuela e da situazioni disparate, ma tutti hanno un grado di istruzione elevato. Si sono trovati qui, accomunati dalle difficoltà di vivere in un paese che non è pronto ad accoglierli.
Daniela ha 35 anni, viveva col marito e i due figli a Valencia. Ha la doppia cittadinanza, essendo figlia di un italiano. Lei è odontotecnica, il marito ingegnere meccanico ed era a capo di un’azienda. “Eravamo privilegiati, noi potevamo permetterci di acquistare la merce di importazione, carissima. Ce ne siamo andati per l’insicurezza. Non si poteva più vivere così”. Daniela e Luis mi fanno un racconto che pare uscito da un romanzo: “Esci per andare al cinema e non sai se tornerai a casa. L’anno scorso abbiamo celebrato il nostro matrimonio, una bella cerimonia sulla spiaggia… a metà sono arrivati due uomini armati, a viso scoperto, e hanno rapinato tutti gli invitati! E – aggiunge Daniela – ormai la mentalità del venezuelano è talmente assuefatta alla violenza che in questi casi il commento più comune è ‘Per fortuna, non è morto nessuno’. Alle 17 tutti sono chiusi in casa, noi attorno alla nostra abitazione abbiamo un recinto elettrificato. E giriamo con due auto blindate. Solo a Caracas, vengono denunciate 15/20 rapine al giorno. Senza contare tutti quelli che non sporgono nemmeno denuncia. A commetterle sono delinquenti comuni, ma anche poliziotti che guadagnano talmente poco che devono ‘arrotondare’. E poi ci sono i sequestri-lampo: ti prendono e chiamano la tua famiglia. Se pagano, sei libero nel giro di qualche ora, sennò sei morto. Scordati di camminare per strada con il cellulare in mano, come fate qui, o con un orologio al polso. Sei spacciato. Ti ammazzano anche per rubarti un paio di scarpe.”
Interviene Jesùs, giovane avvocato: “Io sono stato rapinato 12 volte. Addirittura, due volte nello stesso giorno. Rapine a mano armata, eh? Ti prendono soldi, cellulare, quello che hai.” E aggiunge: “Non mi vergogno a dirlo, io in Venezuela mangiavo una volta al giorno. Qui mi è impossibile esercitare come avvocato, ma ho trovato impiego in una fabbrica di cartone e per ora va bene così”.
Anche Jorge, ragioniere, ha recuperato peso, da quando è arrivato in Italia. Accanto a lui siede Santiago, 12 anni. Lui è arrivato qui cinque anni fa, è il nipote di Carmen. Si sono convinti a farlo andare via dopo che – a sette anni – ha assistito a una rapina a mano armata nel negozio del padre, colpito col calcio di una pistola davanti al bambino per farsi dare l’incasso. Poi ci sono Nazil e Steven, che restano in silenzio e ascoltano gli amici parlare: Nazil allatta il piccolo di due mesi, nato in Italia. Lei si occupava di marketing a Caracas, il compagno Steven (nipote di un italiano) lavorava in dogana.
Tuttavia, nonostante il clima di terrore descritto, fra dieci giorni Daniela e Luis tornano a casa. Sono sicuri che le cose stiano per cambiare. Le condizioni di vita in Italia sono invivibili, per loro: lei non riesce a trovare lavoro, lui ha trovato con una cooperativa che gli rinnova il contratto di mese in mese e in tal modo è impossibile affittar casa, pur avendo i soldi per pagare. Abituati a un tenore di vita diverso, hanno deciso di rientrare. “Meglio vivere male a casa propria”. In ogni caso, sono certi che oggi 23 febbraio Maduro sarà costretto a lasciare. È la data ultimatum fissata da Guaidò per l’ingresso degli aiuti umanitari bloccati alla frontiera. “Nessuno potrà opporsi. L’esercito praticamente non c’è più, i soldati comuni erano pagati così poco che la maggior parte ha lasciato. Solo i militari di alto rango lo appoggiano, quelli corrotti come lui”, dicono. Le accuse sono pesanti, mi parlano di corruzione e narcotraffico al potere. “Una cupola di cento persone ha in ostaggio il paese”.